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Carcere di Poggioreale

 

Breve Storia del Carcere di Poggioreale
 
A) Movimenti di volontariato che agiscono all'interno del Carcere
 
1) Il Neocatecumenato 

 

B) Realtà che operano sia all'interno che all'esterno del Carcere.
 
1) L'Opera D. Calabria e la casa di Accoglienza S. Maria al Trionfo
 
2) Gruppo Carcere Vi.Vo
 
3) Centro "La Tenda"
 
C)Testimonianze dal volontariato
 
1) Suor Lidya Schettino
 
 

La Casa Circondariale di Poggioreale ospita essenzialmente detenuti in attesa di giudizio, ma da qualche anno, a causa del sovraffollamento delle carceri italiane, anche alcuni detenuti con pena definitiva.

La struttura, risalente al 1914, può ospitare circa 1387 detenuti, ma, normalmente nel contiene il doppio.

E’ facile immaginare i disagi e le problematiche collegate a tale situazione. Fino a qualche tempo fa convivevano anche 15/20 persone in una cella; dopo una recente ristrutturazione il numero massimo è di 10 persone.

Numerosi sono i detenuti affetti da gravi malattie infettive: AIDS, epatite, tubercolosi ecc. E’ pressoché impossibile riunire gli ammalati per tipologia, in quanto il test per la sieropositività non è obbligatorio.

La giornata tipo di un detenuto si svolge essenzialmente nelle celle, con letti a castello, prive di riscaldamento; in esse si consumano i pasti, si guarda la televisione, si dorme, si legge e si scrive; vi sono anche i servizi igienici, ma non la doccia che è possibile fare, una volta alla settimana, all’interno del padiglione.

Il detenuto usufruisce di due ore d’aria al giorno “il passeggio” nei cortili interni cinti da alte mura, una di mattina, l’altra nel primo pomeriggio. Ogni settimana è prevista un’ora di colloquio con i familiari, e per buona condotta, si può ottenere un ulteriore colloquio premio.

A seguito dell’ultima normativa i colloqui saranno incrementati.

La direzione dell’Istituto nella persona del suo direttore il dott. Salvatore Acerra – in un articolo uscito sulla rivista “Le Due Città” edita dal DAP -  così si esprime:

“Io credo che il problema di Poggioreale sia lo stesso della città di Napoli e dell’area napoletana: la carenza cronica di lavoro. Se noi vogliamo risolvere il problema del ritorno in Istituto dei detenuti una volta usciti, bisogna promuovere le attività lavorative e di formazione, che mettono il soggetto in condizione di trovare più facilmente un lavoro all’esterno. La maggior parte della popolazione carceraria è costituita, contrariamente a quanto comunemente si crede, da persone che hanno voglia di lavorare, di inserirsi nel mondo del lavoro. Ecco perché noi abbiamo bisogno che imprenditori e formatori professionali vengano qua e si rendano conto delle potenzialità dei soggetti che poi potranno chiamare a lavorare. Un filo diretto tra esterno e interno, tra le “due città” , con cui il detenuto, recuperato alla società, non trovi più motivo di tornare in carcere.” ( “Le Due Città” Giugno 2001).

Breve storia del Carcere di Poggioreale

Ringrazio sentitamente la Dott.sa Annalaura De Fusco, vice direttore del Carcere di Poggioreale, per avermi dato un'autorizzazione scritta per la pubblicazione del suo breve ma molto ben documentato studio sulle origini del Carcere.

Situato alla fine di via Tribunali, il più antico dei castelli napoletani prende il nome dalla vicina Porta Capuana. Fu costruito come fortezza dal sovrano normanno Guglielmo I detto il Malo intorno al 1165; subì ampliamenti e modifiche prima da parte di Federico II di Svevia e poi ad opera dei re angioini, che vi risiedettero solo saltuariamente, preferendo come dimora il neonato Castel Nuovo. Dopo questo periodo, il castello fu dimora degli aragonesi. Nei secoli successivi, ha subito ripetute modifiche e restauri, fino a diventare, nel XVI secolo, Palazzo di Giustizia e carcere, per volere del viceré Pedro de Toledo

I lavori per la costruzione dell’attuale Casa Circondariale di Napoli “Poggioreale”, all’epoca Carcere Giudiziario, ebbero inizio nel 1905 per far fronte al sovraffollamento delle carceri in funzione all’epoca:  Vicaria, già Castel Capuano, Carcere del Carmine e del Forte di Vigliena.

Venne costruita ad oriente della città a seguito di un progetto già avviato in epoca borbonica in un luogo malsano e paludoso e, per questo motivo, non considerato dal piano urbanistico di Pedro de Toledo - XVI secolo - come zona di sviluppo della città, orientata, invece sul lato occidentale, zona particolarmente bella per il paesaggio e la mitezza del clima.

La zona ospitava, come testimonia Alessandro Baratta, la Real Villa di Poggioreale.

Il luogo era ideale dimora di caccia per la presenza di uccelli migratori che ben si adattavano al territorio metà palustre e metà agricolo.

Una bonifica di quel malsano territorio si ebbe completamente solo dopo il 1884 a seguito del colera che colpì Napoli. La bonifica era stata  già intrapresa, infatti, tra il 1830 ed il 1844 con la creazione della Stazione Centrale.

Il nuovo carcere giudiziario venne naturalmente inglobato nello sviluppo urbano della zona orientale della città nei primi decenni del XX secolo con la nascita dei grandi mercati (orto frutticolo, ittico, dei rottami – cd. “scasso”-, il macello comunale, la borsa merci), del  cimitero e verso il mare, con lo sviluppo dei grandi bacini navali, della raffineria, dei depositi ferroviari, delle ferrovie vesuviane e della dogana portuale.

Per la costruzione del nuovo edificio fu approvato dal Parlamento un primo

In questa antica carta della città di Napoli fatta dal duca di Noja nel 1775, possiamo vedere in alto a destra la zona orientale della città dove fu poi contruito il carcere di Poggioreale

stanziamento di 5 milioni di lire, successivamente elevato di 600.000 lire con l’esercizio di previsione 1907-1908 e di ulteriori 900.000 lire con l’esercizio di previsione 1908-1909.

I lavori furono inizialmente affidati all’impresa “Cacciapuoti fu Salvatore” che avrebbe dovuto completare l’opera in 4 anni. La costruzione terminò, invece, nel 1914 e solo nel 1919 il Ministero dell’Interno dispose il trasferimento temporaneo dei detenuti provenienti dal Carcere giudiziario del Carmine.

In alto a destra un dettaglio della zona paludosa che si estendeva a oriente della città di Napoli da una cartina di Antony Lafrery del 1566

Durante la prima guerra mondiale, 1915-1918, infatti, alcuni padiglioni furono occupati dalle truppe militari e fu cambiato temporaneamente l’uso di destinazione degli stessi.

Durante l’occupazione, da parte delle truppe militari, vennero eseguiti nell’immobile anche lavori di adattamento per adeguare la struttura alle nuove necessità. Inoltre, le truppe arrecarono non pochi danni all’edificio e, per tale motivo, fu necessario eseguire ulteriori lavori per il ripristino dei luoghi.

Tali lavori furono affidati alla ditta “Scotto di Tella”.

Alla stessa ditta il primo direttore del nuovo carcere, Cav. Leopoldo Cremona, a seguito dell’autorizzazione data dal Ministero dell’Interno Direzione generale delle Carceri e dei riformatori, con lettera del 25 febbraio 1921, diede anche incarico di eseguire in economia i lavori occorrenti per la sistemazione ed il completamento dell’intera rete delle fognature per l’adattamento completo degli alloggi e degli uffici e per l’esecuzione dell’impianto di acqua di Serino nei fabbricati.

Veduta del carcere di Poggioreale dal versante di via nuova Poggioreale

La Chiesa venne completata, invece, solo nel 1924.

Nel 1921, a seguito dell’evasione di due detenuti dal penitenziario si senti l’esigenza di provvedere senza indugio a servizio di vigilanza esterna.

Per tale motivo si penso di trasferire al nuovo Istituto l’intero corpo di guardia in servizio nel carcere del Carmine, poiché l’autorità militare dichiarò di non poter assecondare in altro modo le ripetute richieste di guardie avanzate dalla Direzione del carcere per la sicurezza della struttura penitenziaria,

Con R.D. 31 dicembre 1922, n.1718 la Direzione Generale delle Carceri e dei Riformatori fu trasferita dal 15 gennaio 1923 dal Ministero dell’Interno a quello della Giustizia e degli Affari di Culto. I servizi prima attribuiti al Ministero dell’Interno, al Prefetto ed al Vice-Prefetto furono rispettivamente assegnati al Ministero della Giustizia , al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ed al Procuratore del Re, da cui dipendevano direttamente tutte le autorità penitenziarie del circondario.

Poggioreale, luogo conosciuto tristemente in tutto il mondo, luogo in cui si sconta la privazione della libertà. Luogo di dolore, ma anche di immensa umanità; dove “le mura hanno assistito nel corso di questo secolo a tante vicende” contrassegnate dagli eventi storici, segnando l’intero territorio napoletano, fu costruito per ricevere all’incirca 700 detenuti provenienti dalle già citate carceri della Vicaria, del Carmine, già Castel  Capuano, del Forte di Vigliena.

L’Istituto prevedeva celle di tipo cunicolare di due metri per due metri per due metri – quindi assolutamente singole – ma venne successivamente trasformato in una struttura con lunghe camerate al fine di poter alloggiare un maggior numero di detenuti.

Nella prima metà degli anni quaranta e nell’immediato dopoguerra, la popolazione detenuta raggiunse le 7000 unità.

L'angolo est del carcere con una veduta parziale del Centro Direzionale

L’affollamento, durante il periodo bellico, dipese anche dalla presenza di numerosi prigionieri politici e di commercianti della “borsa nera” ( fenomeno ben descritto in “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo).

Nell’Istituto prestano servizio oggi circa 700 agenti di polizia penitenziaria, ripartiti in vari turni e compiti di servizio.

I detenuti ristretti,  allo stato attuale,  superano le 2000 unità con punte superiori anche alle 2300 unità.

I familiari che si recano in visita ai congiunti sono oltre i 1900 per ogni giorno di colloquio.

Il personale che accede quotidianamente all’Istituto a vario titolo – medici, avvocati, insegnanti, ecc – supera le 400 unità.

La Casa Circondariale di Poggioreale occupa una superficie complessiva di 67.000 metri quadrati (il Centro Direzionale di Napoli e di circa 220.000)

La struttura è composta da otto corpi centrali – padiglioni – intersecati ora da un lungo corridoio di raccordo.

Una bellissima veduta della zona orientale della Città con il Vesuvio sullo sfondo

I reparti presero, nel tempo, il nome di città italiane: Napoli, Milano, Livorno, Genova, Torino, Venezia, Avellino, Firenze, Salerno, Roma – nato come carcere femminile -, Italia. Solo in seguito fu realizzato il padiglione “S. Paolo” – cioè il Centro Diagnostico Terapeutico, l’ospedale del carcere che raccoglie ora degenti provenienti anche da altre strutture penitenziarie.

Nell’anno 1983 nell’area che ospitava i capannoni adibiti alle lavorazioni dei detenuti, fu ricavata un’aula bunker per la celebrazione del noto processo di “Tortora” successivamente suddivisa in 4 aule bunker.

Ne 1998 è stata realizzato un tunnel di collegamento tra l’Istituto ed il nuovo Palazzo di Giustizia, lungo ben 900 metri.

 Annalaura Di Fusco

 Vice-Direttore  Carcere di Poggioreale

 

 

A) Gruppi di volontariato che operano nel carcere

 

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1 )  IL Cammino Neocatecumenale 

 

La Parola che rinnova, L’Eucarestia che dona vita, La comunità che accoglie.

 

 

Autunno 1989, con l’aiuto del Direttore dell’Istituto di pena Vito Siciliani , i Cappellani  Don Vito e don Lorenzo Zocca dell’opera di don Calabria procurano cinque tesserini di assistenti volontari per la catechesi e il culto a una equipe di laici. Guidata da don Vito, inizia così il primo itinerario neocatecumenale all’interno del carcere. Due mesi dopo nel padiglione Roma che a quel tempo ospitava i detenuti che stavano scontando una pena definitiva nasce la prima comunità.

“All’inizio alcuni erano venuti per riempire il tempo che in carcere sembra non passare mai, ma gradualmente ad ogni incontro il gruppo cresceva passando dagli iniziali 12 a oltre 60 detenuti, ai quali presto si aggiungono anche alcuni agenti di custodia…Il metodo è semplice: una catechesi una volta alla settimana, una celebrazione penitenziale e un’eucarestia celebrata ogni quindici giorni. “ si inizia cantando- raccontano – anche per entrare in sintonia: il cocktail umano è impressionante, ma in fondo non è così dissimile da quello della nostra gente che frequenta la parrocchia.”

Se gli esordi sono difficili, col tempo l’attenzione da parte dei detenuti progredisce in maniera proporzionale all’ascolto della Parola di Dio e all’annuncio che “Dio ti ama, peccatore e carcerato”.

Alcuni di loro iniziativa mettono in comune i piccoli cambiamenti in atto, sintomatici dell’inizio di una conversione: “Ho capito che non devo più vedere film pornografici…, devo restituire il maltolto,…devo abbandonare la strada della vendetta…” . “Eppure – sottolinea- don Lorenzo – mai le catechesi avevano toccato direttamente aspetti morali!”….

Alcuni detenuti sono usciti e si sono inseriti in parrocchia, gustano la Parola di Dio, riacquistano il senso della speranza di non ricadere nelle antiche idolatria e schiavitù…

(Paolo Guiducci, Avvenire del 5 dicembre 1997)

 

A distanza di 12 anni do Lorenzo Zocca, traccia un bilancio di quanto sta accadendo.

“ Ci troviamo di fronte a una pastorale carceraria mirata al recupero delle fede perduta o mai avuta, rieducando così al senso vero e ai valori eterni della vita”

Vogliamo ricordare quello che lo stesso  Papa, Giovanni Paolo II disse ai detenuti di Poggioreale nel novembre del 1990 “Il vangelo è davvero una Parola che consola, anche se è esigente; è un fermento che rinnova, una fiamma che ridà vita all’uomo”.

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B) Realtà che operano sia all'interno che all'esterno del Carcere

 

1)   L' Opera D. Calabria e la casa di Accoglienza Gran Trionfo 

 

  La tradizione fa risalire l’origine al XIII secolo “La chiesa fu dedicata a “Santa Maria Avvocata dei Peccatori”…e fu il Gran Trionfo.

  “A pro di quest’opera spese tutte le sue cure Maria D’Ayerba (nome legato all’ospedale degli incurabili)

Così si proponeva con questa fondazione di riparare dal turpe mestiere le meretrici curate nell’ospedale di mali schifosi e contagiosi” (Dalle cronache del tempo)

Dov’è ?

  L’indirizzo esatto è: Via S. Maria Avvocata a Foria, 2 – tra l’Orto Botanico ed il Teatro S. Ferdinando. Nella parrocchia di “Tutti i Santi” al Borgo S. Antonio.

 

 

L'opera Don Calabria ( ODC) Ha ricevuto in comodato gratuito questo enorme fabbricato, dal Card. Corrado Ursi il 29 giugno 1979 e valido fino al 2009. “…Per dare una piccola risposta concreta, ponendoci come strumento nelle mani della Divina Provvidenza in un contesto tra i più bisognosi di promozione umana, dove il problema della devianza, soprattutto giovanile si presenta acuto e per tanti versi, drammatico.

(Dalla lettera del Superiore generale dell’epoca a tutta la Congregazione)

 

Cosa fa l’ODC ?

 

-         Accoglienza di detenuti in regime di semilibertà, arresti domiciliari, affido al servizio sociale, ex detenuti e persone in difficoltà, sia nel settore maschile che femminile. Di frequente done con bambini, ragazze incinte o comunque ad alto rischio perché vittime della prostituzione organizzata.

-         Assistenza spirituale e Supporto Morale ai detenuti di Poggioreale e aiuto per le questioni legali

-         Raccolta e distribuzione di generi alimentari e vestiario a famiglie di carcerati.

-         Laboratorio Missionario per la cernita, preparazione e spedizione di pacchi alle missioni.

-         Coordinamento per le adozioni a distanza con il gruppo “Akting Mga Anak” (I nostri figli) di Manila – Filippine

-         Punto di riferimento infermieristico per gli ospiti dell’Istituto e casi segnalati del quartiere

-         Accoglienza dei senza fissi dimora in collaborazione con il Comune di Napoli; dormitorio pubblico (Circa 20 posti tutti esauriti)

-         C’è anche un ufficio in cui trovano sede alcune cooperative sociali.

-         Ospitalità a giovani studenti fuori sede garantendo loro un clima familiare e sereno per

-         Ospitalità di Gruppi (Comunità Neocatecumenali per le convivenze mensili)

-         Animazioni di gruppi di preghiera nel quartiere.

 

Da chi è gestita l’ODC ?

 

Da 3 religiosi di Don Calabria: Un sacerdote e due fratelli

Coadiuvati nel settore femminile da 4 suore delle “Poverelle di Bergamo”.

Alla conduzione partecipano anche gli Ospiti e alcuni Volontari (6 signore per il guardaroba)

 

Come si sostiene l’ODC ?

  Confidando nella Divina Provvidenza e lavorando con le proprie mani. (Non c’è personale di servizio stipendiato)

 

Testimonianze

  “Mi sono pentito molto di quello che ho fatto e adesso chiedo aiuto a voi che siete il padre di tutti e son sicuro che mi aiuterete a superare tutto questo, mi scuso con voi per questi righi ma purtroppo io non mi so esprimere con la penna.” (S.O.)

 

“Vi ringrazio anche di un’altra cosa, e cioè di avermi salvato dal suicidio. Ho potuto constatare quanto è bella la vita, quanto sia sacra e che nessuno può fare con essa ciò che vuole tranne l’Eterno Padre.” (F.R.)

 

“Ill.mo Padre ho ricevuto con immenso piacere il vostro scritto, il mio cuore è pieno di gioia di avere appreso che la mia domanda è stata accolta. Ho già trasmesso il documento al mio avvocato che prenderà immediatamente contatto con la sua struttura…” (O.F.)

 

Per ulteriori informazioni rivolgersi a:  Padre Giusto, Opera Don Calabria

Via S. Maria Avvocata a Foria, 2 - 80139 – Napoli – tel. 081 297688 - fax 081 299119

e.mail :  squi.giu.@libero.it

 

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2 ) Il gruppo Carcere Vi.Vo.

(Perché rifiorisca la speranza)

 

 Il gruppo carcere Vi.Vo.(Vincenziani Volontari) si richiama nel nome e nelle finalità a S. Vincenzo de Paoli che nel ‘600, fra l’altro sprigionò tutta la sua straordinaria umanità a favore dei carcerati e dei galeotti francesi. Nel 1987, nel carcere di Poggioreale, le Figlie della Carità di Napoli ne ripropongono l’esperienza e, alcuni laici, nel tempo sempre più numerosi, ne raccolgono la sfida e si costituiscono nel 1989 come “Gruppo “Carcere Vi.Vo.”

 

Il gruppo

-         Si propone il recupero ed il reinserimento, nella storia di tutti, dei detenuti e dei tossicodipendenti, con il coinvolgimento della famiglia.

-         E’ accanto ai detenuti con le visite nelle carceri e la corrispondenza; ai tossicodipendenti favorendone l’ingresso in Comunità Terapeutiche, unica via per recuperare valori e stile di vita libera da ogni schiavitù; alle famiglie con visite domiciliari, l’ascolto presso il centro e accompagnamento personalizzati nell’emergenza e oltre.

 

“ Il Vincenziano Volontario non opera, in alternativa all’istituzione, ma sceglie “il campo di nessuno”.

Si affianca agli operatori professionali senza appiattimento, puntando sempre sul cambiamento di mentalità, facendosi portatore dei valori di umanità e fraternità che sono alla base del nostro volontariato”

Il Vincenziano Volontario esplica la sua missione:

 

- Visite in Carcere

I volontari incontrano i detenuti/e nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano e nella C.C.F.di Pozzuoli.

A quanti avvicinano i volontari offrono una parola di sostegno sincero ed amichevole e cercano di motivare il tossicodipendente a scegliere il cammino di recupero in comunità.

 

- Corrispondenza

I volontari mantengono contatti epistolari con i ristretti, seguendoli anche quando sono trasferiti lontano dalle famiglie.

 

- Visite domiciliari

I volontari incontrano le famiglie dei ristretti nelle loro abitazioni, per condividerne i problemi e sostenerle nello sforzo di cambiamento e reinserimento.

 

Il "Centro S. Vincenzo de Paoli" 

               

Il Centro S. Vincenzo de Paoli è’ aperto 

      -        il Martedì e il Giovedì dalle 10.00 alle 13.00 e il Martedì e il Venerdì dalle 16,00 alle 19.00

-         E’ strutturato a rete e pensato per rispondere ai bisogni di un sempre più vasto territori.

-         È punto di incontro, di riferimento e di coordinamento del servizio

-         È laboratorio di collaborazione ed integrazione con le risorse del territorio.

-         È luogo di accoglienza per i detenuti/e in affidamento al Servizio Sociale.

-         È oasi vincenziana (spazio residenziale temporaneo) per le ristrette, straniere o senz afissa dimora in permesso.

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3) Associazione “Centro La Tenda”

 

“La Tenda” nasce come associazione a Napoli il 21 dicembre 1981, ad opera di Don Aniello Vitello che insieme ad un gruppo di volontari decise di impegnarsi concretamente con i tossicodipendenti aprendo un “Centro”.

L’Associazione Centro “La Tenda” nasce con lo scopo di operare per l’accoglienza dei tossicodipendenti, sviluppando un programma terapeutico e di reinserimento che si estende a tutti gli ambiti di vita della persona: non solo l’uscita dalla dipendenza, ma anche il recupero delle capacità inespresse, la riscoperta dei valori, il reinserimento a pieno titolo nella società, soffermandosi in particolar modo sul collocamento lavorativo del soggetto in recupero.

 

Tra i vari programmi educativi del Centro La Tenda, Liberarsi è il programma rivolto ai tossicodipendenti “che vogliono uscire non tanto dal carcere, ma soprattutto dalle cause che li hanno condotti in prigione”.

 

Il Fondatore dell’Associazione e i suoi operatori sin dall’inizio si resero conto che una struttura come il carcere difficilmente può essere in grado di garantire un percorso di riabilitazione per un tossicodipendente, anzi molto spesso rischia di rappresentare un luogo in cui si aggravano le tendenze all’illegalità di chi si droga.

 

 

Il programma “Liberarsi”

 

Il programma Liberarsi è stato concepito come percorso per i tossicodipendenti detenuti che vogliono scegliere un’alternativa al carcere per un vero cambiamento del loro stile di vita, e per le loro famiglie che, accolte nella solidarietà, possono recuperare la loro serenità e il rapporto con i loro figli, fuori dell’istituzione penitenziaria.

 

Il programma consta di due fasi parallele, una per i tossicodipendenti detenuti e un’altra per le loro famiglie, e si articola in due momenti.

Prima di tutto si procede con colloqui col tossicodipendente all’interno del carcere e con l’accoglienza della famiglia attraverso degli incontri, nel tentativo di trovare insieme una strategia finalizzata al recupero del giovane. In questa fase sono frequenti i contatti con la Magistratura, con gli avvocati, con gli operatori del carcere (educatori, psicologi, assistenti sociali), nonché l’intervento di assistenza legale.

 

Nel secondo momento si procede all’inserimento dei familiari nei gruppi di sostegno e di aiuto-aiuto e ad incontri in gruppi di sostegno in carcere, in attesa della decisione del magistrato (e l’eventuale collocamento in comunità).

 

Liberarsi, il progetto di attività educative e terapeutiche avviato nel carcere si inserisce proprio all’interno dell’associazione e valorizza le risorse e le strutture esistenti. Il programma risulta fortemente integrato con le proposte dell’associazione: ai detenuti inseriti in misure di affidamento lavorativo, il Centro offre un supporto psicologico durante l’espiazione all’esterno della pena residua. Inoltre, un ulteriore sviluppo del programma prevede che l’associazione si attivi anche per quei detenuti che risultano idonei ad un percorso terapeutico diverso da quello proposto da “La Tenda”.

 

Il programma Liberarsi è – come detto – inserito all’interno del complesso di attività dell’associazione. Non ha quindi struttura e organizzazione autonoma e può contare su risorse relativamente limitate però con una grande sinergia con tutto il Centro. Il fondatore de “La Tenda” nel 1983 ha iniziato a frequentare personalmente in maniera regolare l’Istituto Penitenziario di Poggioreale. In questo luogo gli si sono affiancate persone – volontari – alcune delle quali con il tempo hanno seguito un percorso personale di intervento, divenendo educatori o criminologi all’interno del carcere, e sostenendo l’opera di intervento sulla tossicodipendenza dei ragazzi detenuti.

L’attività all’interno del carcere è nel tempo continuata assumendo forma regolare: colloqui, scambio di corrispondenza tra i detenuti e i volontari del Centro “La Tenda” e rete di rapporti. Operativamente i volontari si recano nel carcere per impostare le basi dell’inserimento dei ragazzi nei progetti terapeutici promossi dall’associazione.

Da un anno il Programma Liberarsi ha avuto una maggiore strutturazione all’interno dell’associazione, pur continuando a seguire una filosofia di azione che mira al recupero e al reinserimento del tossicodipendente.

 

“Il nostro impegno è dare valore a questo tempo in cui il ragazzo è in carcere, per poterlo far maturare ancora di più.”

 

Attualmente il responsabile del programma è Luigi Strabella, sacerdote, animatore e referente sia per le attività interne (coordinamento dei volontari, rapporti con il Centro, ecc.) sia per i rapporti con l’esterno (Istituzioni penitenziarie, CSSA, ecc.). Da circa un anno, il Centro ha attivato una segreteria operativa per il programma Liberarsi investendo una risorsa in LSU (Lavori Socialmente Utili).

All’interno degli Istituti Penitenziari operano complessivamente sette volontari in attività diversificate a seconda della struttura: nel carcere di Poggioreale i volontari sono impegnati nei colloqui preparatori al programma terapeutico, in quello di Secondigliano i volontari sono invece coinvolti oltre che nella preparazione alla comunità anche nelle attività educative, promosse all’interno della c.d. “Area Verde” e del progetto Girasole.

 

“Non Solo Carcere”, Indagine Nazionale sulle Organizzazioni di Volontariato nell’ambito della giustizia, A cura di Renato Frisanco, Fondazione Italiana per il Volontariato, Ottobre 2000.

 

 

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C) Testimonianze dal Volontariato

 

Suor Lidia Schettino

  Oggi l’argomento “carcere” trova nell’informazione più spazio che in passato; non può passare nell’anonimato, specialmente per il mondo cristiano-cattolico, per la Chiesa che vuole impegnarsi in prima persona per  risolvere il problema carcerario, secondo l’ottica del Vangelo.

Dal 1979 opero come assistente volontaria in questa realtà umana tanto particolare: ascolto le storie più varie, mi sono confidate ed affidate situazioni di sofferenza che mai avrei immaginato potessero albergare in cuore umano, ho potuto tante volte partecipare alla ricerca interiore della verità da parte di chi, nella vita quotidiana, mal gestendo la propria libertà, non aveva mai supposto di essere portatore di valori umani e divini. Nel carcere, strano ma vero, sento la presenza reale, concreta, sensibile di Gesù ed in tante circostanze ho compreso, accanto ai detenuti, cosa significhi pazientare nel soffrire, cosa sia alimentare la speranza del trionfo dell’amore, come si possa condividere il poco che si ha con chi non ha nulla. Attraverso le loro esperienze ho conosciuto il “baratro del fango” e l’ “altezza della libertà” e mi sono sentita proiettata in una dimensione di vita sconvolgente.

La mia presenza tra i detenuti è una presenza sofferta: il non poter rispondere a certe situazioni drammatiche, il constatare alcune ingiustizie evidenti, il notare, talvolta, una logica sbagliata, il non riuscire a trovare la strada per far capire gli errori, danno alla mia vita religiosa la dimensione della Croce.

Porto con me, ogni giorno, tutto il loro dolore; sento il mio stesso corpo appesantito dal peso dei drammi e della povertà di questi miei fratelli che assumo nella preghiera e la cui amicizia traduco in lode.

Da molti anni mi è stato affidato il Padiglione “Roma” dei giovani tossicodipendenti (ogni padiglione porta il nome di una città). La maggior parte di loro non ha vissuto l’infanzia; per molti la vita di fatiche e disagi ha avuto inizio intorno agli otto – nove anni; il ricordo della tenerezza materna, per altri, è solo nostalgia. Entro spesso nel loro ambiente di provenienza: sono famiglie molto povere economicamente e culturalmente. Mi accorgo come donna e come religiosa che il mio affetto sincero nei loro riguardi, le mie attenzioni per le loro necessità li inteneriscono; riscoprono la vita, vogliono parlarne, esprimono i loro desideri, le loro attese ma sempre nel timore di restare ancora soli, di essere ulteriormente delusi.

L’uomo in situazione di detenzione, nella maggior parte dei casi, è in situazione d’invocazione; anche inconsapevolmente il suo animo invoca il Regno di Dio, l’avvento dell’Amore, della giustizia e della pace, che identifica con una vita familiare serena. Ho scoperto che quelli che rifiutano Dio, non sono sempre gli orgogliosi e i superbi, ma spesso uomini sinceri che negano tale esistenza per sete e fame di giustizia: il più delle volte è la consapevolezza di essere vittima dell’ingiustizia e della solitudine a spingere i poveri e i miseri alla violenza o all’autodistruzione, attraverso il suicidio e la droga.

Il mio compito, accanto a questi fratelli che hanno soffocato, talvolta, con i reati più vari, la loro nostalgia di bene e di vero, è di offrire una mano tesa e un’amicizia vera; quelli che chiedono di parlarmi, anche se hanno ormai lucidamente macerato nella propria coscienza tutto l’abisso del male, mi possono avvicinare. Essi sanno…che vado per offrire loro la mia fede, la mia certezza che la Parola di Dio fa nuove tutte le cose, che anche dall’esperienza del peccato e della morte può nascere l’uomo nuovo, perché “ogni delitto commesso dall’uomo è punto di partenza dell’azione riabilitante di Dio” (Card. Martini).

Sono convinta che l’Avvento del Regno ha bisogno della passione degli amici di Gesù, e i fratelli detenuti, inconsapevolmente, aumentano questa mia passione, mi fanno dono della loro soffrenza che alimenta la fiamma della mia preghiera e garantisce la “vita” della mia adorazione.

Ogni giorno, durante la celebrazione eucaristica, c’è un momento culmine per me: nella Consacrazione, quando il sacerdote innalza il calice, il mio cuore grida: “Tutto…e Tutti!”. E’ un’offerta, è una supplica, è il desiderio che quel sangue porti a compimento – oggi – la salvezza per ogni uomo ed in particolare per i fratelli che incontro là, dove il bisogno di salvezza è più urgente: il carcere. Mi sembra che in quel momento, nel calice, siamo tutti uniti: in Cristo siamo ricondotti al Padre.

E già si compie la preghiera: Venga il tuo Regno.

 

Sr. M. Lidya Schettino

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