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L'effetto di "Concentrazione"

 

Il prof. Enrico Pugliese, ordinario di Sociologia del lavoro nell’università di Napoli e docente stabile alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione di Roma, nella sua introduzione ad un libro pubblicato qualche anno fa, e da lui stesso curato: “Rapporto su Scampia” edito dalla Fridericiana Editrice Universitaria, 1999 e realizzato con un’equipe di professori della Facoltà di Sociologia dell’Università di Napoli descrivendo l’indagine sociologica condotta a Scampia e in particolare presentando il capitolo 4° dal titolo: “Aspetti sociali e culturali”, realizzato dalla Prof. Enrica Morlicchio, così si esprime: “…Per quel che riguarda le famiglie, l’indagine si è concentrata soprattutto sulle situazioni di disagio estremo non perché esse rappresentino la situazione media o prevalente del quartiere, ma perché all’interno di esse si generano i problemi più gravi e su di esse pesano maggiormente sia le carenze della situazione economica, in particolare le scarse possibilità occupazionali, sia le carenze istituzionali e dei servizi. In questo capitolo inoltre, allo scopo di spiegarsi anche in base a riferimenti teorici i motivi e le caratteristiche del degrado sociale, viene fatto riferimento alla letteratura internazionale che si è occupata dei processi di ghettizzazione all’interno di aree metropolitane. Da essa risulta che “l’effetto di concentrazione” (cioè il concentrarsi degli elementi di svantaggio) deriva da un processo di causazione circolare, per cui alla perdita delle occasioni di lavoro si somma una riduzione dei contatti che potrebbero aiutare a uscire dalla disoccupazione e dal contesto segregante del quartiere. In effetti anche dalle interviste alle famiglie risulta come la situazione occupazionale sia andata peggiorando negli ultimi anni e come questo si sia riflesso anche nel degrado sociale e nella spinta alla devianza.”

 

L'effetto di concentrazione 

Ho incontrato La Signora Enrica Morlicchio, professoressa associata di Sociologia dello Sviluppo all’Università degli studi di Napoli Federico II, e le ho posto alcune domande:

Domanda: prof. Morlicchio, quali sono, secondo lei, i fattori che hanno determinato le tendenze attuali dell’esclusione sociale a Napoli?

Risposta: sono fondamentalmente due: da una parte il carattere generalizzato e             cronico del disagio abitativo, dall’altro le persistenza di vaste aree di occupazione         precaria o di vera e propria disoccupazione. Tuttavia, bisogna andare anche molti         cauti nel considerare questi fenomeni esclusivamente come una manifestazione di             arretratezza o espressione di un consolidato “modello napoletano di sopravvivenza”, basato su un sotto-equilibrio garantito da attività di natura puramente redistributiva (come il riciclaggio di oggetti usati o rubati) e trasferimenti di natura assistenziale. Una tale rappresentazione non aiuterebbe a comprendere come e perché si è modificata negli ultimi decenni la composizione sociale dei diversi quartieri. Per questo scopo, risulta maggiormente utile il riferimento alla letteratura internazionale sugli “effetti di concentrazione” e, in particolare, alle ricerche condotte negli Stati Uniti da William Julius Wilson sulle aree urbane delle metropoli americane.  (Vedi Wilson W.J., The truly Disadvantaged, The Inner City, The Underclass, and Public Policy, Chicago; University of Chicago press, 1987; Wilson W.J. (a cura di), The Ghetto Underclass. Social Science Perspectives, Londra: Sage, 1993; Wilson W.J., When Work Disappears: the New World of Urban Poor, New York: Alfred A. Knopf, 1996)

D.: in che cosa consiste quest’effetto concentrazione.

R.: è la condizione di isolamento in cui si trova a vivere un soggetto che si trovi a dover vivere, per così dire, ‘intrappolato’ entro reti sociali altamente segregate, costituite da individui che vivono un analoga condizione di povertà economica e precarietà lavorativa.. Questo ultimo fenomeno è stato studiato soprattutto negli Stati Uniti dove i livelli di segregazione sociale su base di quartieri sono enormemente aumentati. Nel corso degli anni ottanta, nelle dieci maggiori città americane , la proporzione di afroamericani e portoricani poveri residenti nei quartieri ad alta concentrazione della povertà e cioè con una percentuale di poveri almeno pari al 40% dei residenti, è passata dal 22% al 38%. Quest’elevata concentrazione territoriale è molto importante perché imprime un’accelerazione ai processi di impoverimento. Quest’accelerazione è stata definita dal sociologo Wilson “effetto concentrazione”. Per Wilson un giovane che nasce in un quartiere in cui la maggioranza della popolazione in età da lavoro è disoccupata, e qui trascorre la sua infanzia e adolescenza, ha molte più probabilità di diventare un emarginato grave di un suo coetaneo nato in un altro quartiere con una composizione sociale più eterogenea. Infatti indipendentemente dalle sue inclinazioni personali, dal livello di coesione e dall’origine sociale della sua famiglia egli deve colmare uno svantaggio di partenza. Il fatto di vivere in un quartiere in declino gli impedirà di assumere modelli di ruolo positivi e lo porterà a sviluppare relazioni soltanto con soggetti altrettanto svantaggiati che non sono in grado di aiutarlo ad uscire dalla disoccupazione e dal contesto segregante del quartiere. Si determinano così una serie di effetti cumulativi per cui la riduzione delle attività economiche riduce le relazioni sociali e a sua volta questa riduzione inaridisce i canali di accesso alle possibilità occupazionali che, sia pure in misura più ridotta, esistono (o che esistono in altri quartieri) . Questo è nella sostanza l’effetto di concentrazione. Nel caso americano descritto da Wilson, gli effetti di concentrazione si esercitano soprattutto nei confronti degli afroamericani e degli appartenenti ad altre minoranze svantaggiate. Tuttavia l’intreccio perverso tra fattori strutturali, orientamenti culturali e comportamenti sociali da lui individuato può essere assunto come modello interpretativo anche in contesti in cui i livelli di segregazione su base etnica e razziale sono più modesti o pressoché inesistenti.

D.: quali sono gli svantaggi che si sono concentrati a Scampia?

R.: come abbiamo già notato, la letteratura sugli effetti della concentrazione ha posto particolare attenzione al rapporto tra la segregazione, l’isolamento e la disorganizzazione sociale dei quartieri poveri, e alle conseguenze che la somma di questi svantaggi può avere sulla socializzazione dei bambini e degli adolescenti. Sinteticamente gli elementi di svantaggio che si riscontrano a Scampia sono:

-          La presenza di famiglie numerose , talvolta costituite da due o più nuclei

-          La limitatezza delle reti personali informali e la loro ‘impotenza’ nel fornire aiuto non riguardano soltanto le reti parentali.

-          La disoccupazione a Scampia arriva al 50% della popolazione attiva. All’interno del quartiere sono distinguibili le ‘famiglie dei disoccupati’ (con capofamiglia disoccupato) e ‘le famiglie con i disoccupati’, caratterizzate cioè da un capofamiglia occupato che ha a carico i figli, giovani adulti, disoccupati o occupati precari. Queste ultime sono interessate da un processo di discesa sociale rispetto alla generazione precedente e da un conseguente peggioramento delle condizioni di vita. Ma le ‘famiglie dei disoccupati’ sono quelle in condizioni di maggiore rischio sociale.

-          I livelli di povertà registrati sono davvero estremi, al punto che è difficile rispondere ai bisogni primari

-          I bambini che finiscono in Istituti provengono generalmente da queste famiglie, che sono più povere e isolate socialmente.

-          La carenze dei servizi sociali.

-          La cattiva immagine del quartiere e della sua popolazione si riflette sulle condizioni sociali e sulle prospettive dei suoi abitanti, determinando forme di discriminazione sul lavoro e nello stesso accesso ai servizi.

    D.: alla luce dei suoi studi sulla realtà sociale e culturale del quartiere Scampia, fino a che punto  il fenomeno da lei descritto come "effetto concentrazione" ha contribuito al fenomeno della devianza?

                       
R.:
l'effetto di concentrazione contribuisce alla diffusione della devianza indirettamente perché agisce sui comportamenti e sugli atteggiamenti degli adolescenti indebolendo il senso di responsabilità individuale (negli Stati Uniti i giovani padri abbandonano le madri adolescenti dei loro figli) e collettivo (incapacità di mobilitarsi per uno scopo comune). Tuttavia in questi casi è difficile stabilire delle relazioni causali, soprattutto se si ha in mente la situazione napoletana poiché la microcriminalità giovanile, benché sia spesso utilizzata dalla camorra come base sociale di reclutamento, è un fenomeno molto diverso dalla criminalità organizzata.

D.: quali provvedimenti sociali e culturali, secondo la sua esperienza, dovrebbero essere posti in atto per ribaltare "l'effetto concentrazione"

  R.: non è facile rispondere a questa domanda, ma cercherò di non sottrarmi. In primo luogo sarebbe necessaria una politica di incremento dell'occupazione femminile e giovanile. Le citerò soltanto alcuni dati. Le famiglie con due componenti occupati sono una su due nel Nord-est ma soltanto una su quattro nel Mezzogiorno, le famiglie in cui non è presente neanche un occupato solo il 15,5% nel Mezzogiorno, vale a dire più del doppio che nel nord-est dove esse sono il 7%.Esistono ancora forti divari nei tassi di occupazione femminile tra Nord e Sud e anzi tali divari si sono accresciuti negli ultimi anni (passando da 17,5% al 24,4%).  Poi occorrerebbe potenziare la rete di interventi a favore dei minori, sostenendo la scuola, le iniziative per il tempo libero. Esistono per fortuna insegnanti e direttori didattici democratici che cercano di motivare i ragazzi che vengono da famiglie povere o cosiddette difficili, che spesso soffrono di un basso livello di autostima o non ricevono un adeguato supporto culturale, ma ci sono anche insegnanti che respingono questi ragazzini., considerandoli inesorabilmente destinati all’insuccesso scolastico e alla precarietà lavorativa. Anche l'educazione alla legalità è importante: incontri nelle scuole con magistrati, attori, calciatori, scienziati etc. insomma persone che possano offrire – a vario titolo - dei modelli di ruolo positivi con i quali identificarsi. 

D.: dall’indagine condotta "sul campo" del 1999  e raccolta nel libro "Rapporto su Scampia" si poteva prevedere, in qualche modo, quanto sta accadendo in questi giorni?

R.: forse sì, anche se quella ricerca doveva essere propedeutica ad un intervento sul territorio, e in particolare all'insediamento della Facoltà di Agraria e di residenze per studenti, che poi non ha avuto luogo o che sconta gravi ritardi e che sicuramente avrebbe prodotto circuiti virtuosi. Personalmente non sono d’accordo con chi ritiene che prima vada “bonificato” il territorio e poi possono arrivare le istituzioni. Anche se vanno indubbiamente garantite condizioni di sicurezza per chi si insedia, le istituzioni debbono essere parte attiva del processo di rivitalizzazione del quartiere. Non può esserci una logica del prima e del dopo altrimenti non vedremo mai un dopo.  Esperienze analoghe fatte all’estero mostrano come è possibile contrastare le derive di emarginazione. E ciò dovrebbe essere tanto più semplice a Napoli dove non si registrano conflitti tra comunità immigrate diverse.    

Don Bruno 

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