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Certezza della pena o certezza del recupero

 

Ogni volta che esplode qualche caso clamoroso riguardante qualche reato commesso contro la proprietà, ma soprattutto contro le persone, l’opinione pubblica si domanda riguardo alla certezza della pena.

  Hanno sbagliato, devono pagare. 

Le affermazioni che spesso si sentono sono: hanno sbagliato, devono pagare! Devono marcire in carcere! Devono soffrire come hanno fatto soffrire gli altri!

La recente liberazione dei responsabili della morte di Giovanni Falcone, (perché collaboratori di giustizia), i permessi premio concessi ai componenti della banda dell’uno bianca, e ancora le leggi approvate dal Parlamento che riguardano la non punibilità del falso in bilancio, la legge sulle rogatorie internazionali e la possibilità di riportare in Italia i capitali portati all’estero illegalmente senza nessuna sanzione ripropongono all’opinione pubblica la domanda: la società sta forse andando verso una legislazione e una concezione della legalità che porta all’impunità?

In altre parole siamo in una società in cui non c’è più la certezza della pena?

  La vera domanda

Questa domanda secondo me depista l’opinione pubblica dalla vera domanda che non è tanto se l’autore del reato qualsiasi esso sia “paghi” poi la giusta pena. La vera domanda è: il sistema giudiziale e penale italiano assicurano la certezza del recupero?

A cosa serve alla società che ai responsabili dei reati sia comminata la giusta pena e che questi la espiino fino alla fine se poi quando escono sono peggiori di quando sono entrati e continueranno nella loro carriera criminale?

In altre parole conviene alla società civile che un ladro di galline entri in carcere e ne esca killer?

  Una polveriera chiamata Poggioreale

Quando si analizzano le cifre del Carcere del Poggioreale e si scopre che in un carcere che potrebbe ospitare 1100 persone ce ne sono 2700 risulta chiaro che tutte le attività trattamentali saltano. Quando poi si viene a sapere che ci sono solo nove educatori si capisce che il Carcere di Poggioreale è una polveriera che potrebbe saltare da un momento all’altro. C’è da meravigliarsi se cittadini detenuti costretti a restare chiusi in una cella 22 ore su 24 nutrano nei confronti della società civile sentimenti di odio e di vendetta?

Investire nella prevenzione

Così scrive il dott. Luciano Eusebi, docente di Diritto Penale all'università cattolica di Milano - sede di Piacenza.: “ Do per scontato che, rispetto alla commissione dei reati, il fine che la comunità civile deve realizzare è quello della prevenzione. Del resto se noi andiamo a chiedere anche alla vittima, ai familiari della vittima che cosa si attendono, credo di poter costatare che la risposta più vera sia l’attendersi di poter dire con forza che quello che è accaduto, che storicamente è una realtà accaduta, non doveva accadere; quello che è accaduto non dovrà più accadere”. Come non condividere queste affermazioni? C’è un grido di allarme che si leva trasversalmente da tutte le formazioni politiche le quali avvertono che l’attuale sistema di esecuzione della pena non riesce a raggiungere gli obiettivi che la legge gli pone davanti: il recupero dell’autore del reato.

Il carcere di fatto come è adesso è una scuola del crimine! Coloro che ci entrano non solo non sono rieducati ma si specializzano nel crimine.

Allora è evidente che l’obiettivo che la società civile si deve proporre e perseguire non è tanto la certezza della pena quanto la certezza del recupero.

Tradotto nei fatti questo significa mettere l’accento sul trattamento. Investire non tanto sulla repressione quanto sulla prevenzione, niente giova di più alla sicurezza quanto la riabilitazione dei cittadini detenuti. La prassi quotidiana rivela quotidianamente che la repressione non fa diminuire la criminalità che l’accento sulla sicurezza delle carceri senza trattamento non porta la sicurezza che la società civile richiede.

 

Interrogativi inquietanti 

Se questo è vero allora le risposte agli interrogativi che si pone il Card. Martini diventano quanto mai urgenti: “Appena si affronta il tema dell’amministrazione della giustizia penale, molteplici sono gli interrogativi che affiorano nell’opinione pubblica e nella coscienza personale.

Eccone alcuni:

-         i tempi e le modalità di attesa del processo sono quelli richiesti da una “giustizia giusta”, efficiente ed efficace, o non rischiano di trasformare le carceri in luoghi di tortura psicologica e scuola del crimine?

-         E’ morale trattare un cittadino da colpevole prima ancora di essere giudicato?

-         Il numero illimitato dei detenuti, in certi Istituti, costretti a stare pigiati nello spazio angusto di una cella, che dovrebbe contenerne solo due o tre, per più di venti ore al giorno, è a norma di legge?

-         Il trattamento dei detenuti è conforme a umanità e tale da assicurare sempre la dignità della persona, come impongono i principi costituzionali?

-         L’igiene personale, il servizio sanitario, l’alimentazione, l’istruzione, il lavoro sono sempre assicurato in funzione di un recupero reale dei detenuti?

-         Le punizioni inflitte dallo Stato ai cittadini delinquenti sono sempre morali?

-         E’ umano ciò che stanno vivendo?

-         E’ efficace per un’adeguata tutela della giustizia?

-         Serve alla riabilitazione e al recupero dei detenuti?

-         Cosa ci guadagna e cosa ci perde la società da un sistema del genere?

-         E tutto ciò risponde veramente al bisogno delle vittime e al bisogno della difesa dei cittadini?

  Liberarsi dai falsi slogan

La società civile si deve sbarazzare degli slogan con i quali è martellata in continuazione: basta con la certezza della pena. La società civile esige e pretende dallo stato la certezza del recupero!

La società civile esige che le carceri italiane si trasformino in luoghi dove a coloro che vogliono cambiare vita sia data veramente l’opportunità di farlo. Io andrei ancora oltre: si dovrebbero creare quelle condizioni per le quali anche coloro che si vedono quasi costretti a terminare la loro vita intrappolati in certi ingranaggi possano, con l’aiuto della società civile, intravedere anche per loro la possibilità reale di poter cambiare vita.

 

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Don Bruno Oliviero