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XXVIII Seminario di Studi Seac

Levico Terme (Trento) dal 22 al 24 Giugno 2006.

Controllati e Controllori 

(Dentro e fuori il Carcere)

Il clamoroso arresto del n° 2 del Sismi, Il dott.  Marco Mancino, nel corso delle indagini che hanno visto il nostro Servizio Segreto in collaborazione con la CIA, implicato nel misterioso sequestro dell’ Imam di Torino Abu Omar, ha riportato alla ribalta  l’eterno e mai risolto dilemma del rapporto tra controllori e controllati.  La Digos era stata incaricata dai magistrati di intercettare e controllare le chiamate degli 007 italiani che sono per antonomasia coloro che dovrebbero vigilare sulla sicurezza del nostro paese.

Senza voler entrare nel merito di questo complesso problema è evidente la constatazione che la nostra, sta diventando una società che ha fatto del controllo sociale uno dei cardini per ottenere l’ ordine sociale. E’ ormai già da molto tempo che gli osservatori più attenti dei fenomeni sociali stanno lanciando un grido di allarme: la privacy dei cittadini è a rischio e con la privacy le libertà civili ad essa connesse.

Qui non si tratta di condannare totalmente la possibilità da parte della società di esercitare il controllo in modo da assicurare l’ordine stesso nella società. Non siamo così ingenui da credere nella maturità civile e nell’onestà di tutte le persone che compongono la società. Le Istituzioni deputate alla conservazione della pacifica convivenza tra le persone hanno il dovere-diritto di tener sotto controllo  quegli individui e gruppi di potere (i cosiddetti “poteri forti”) che mettono a repentaglio la libertà e i diritti di tutti i cittadini.

Quello che preoccupa è la constatazione che di fronte a una società in cui impera la cultura del sospetto, e la cui dissoluzione del tessuto sociale è sotto gli occhi di tutti, una società dove la difesa del proprio interesse e della propria categoria è perseguito a discapito dell’interesse della collettività, non si veda altra possibilità di intervento che la… “sorveglianza”.

Lo sviluppo della tecnologia ha spinto molto in questo senso. Ogni  giorno  attraverso i Media ci giungono allarmi di questo tipo: “ E’ trendy: spia il cellulare dei tuoi amici”; “La tua stampante ti sta spiando?”  “ verso il controllo totale”. Il “Grande Fratello di Orwelliana memoria sta lasciando l’habitat naturale degli studi televisivi per invadere il mondo reale! Non solo le Banche, le Poste, Gli aeroporti, le stazioni, i mezzi di trasporto, ma adesso anche le strade, le piazze, la città. Siamo tutti videosorvegliati!

 

E’ la solidarietà e non il controllo, che rigenera il tessuto sociale

La domanda che si pone di obbligo è: Il semplice essere controllati (volenti o nolenti) basta a creare ordine nella società? Non dovrebbe essere invece rimessa al primo posto come fonte di pace e di ordine sociale la solidarietà?  Secondo noi, tutte le Istituzioni, le organizzazioni sociali,  i partiti, nel rispetto delle dovute distinzioni e autonomie dovrebbero essere impegnati nella grande campagna per la solidarietà. Dovrebbero essere attivate politiche di inclusione, di condivisione, di partecipazione. Nessun essere umano dovrebbe sentirsi escluso dalla festa della vita. Siamo convinti che è la solidarietà che rigenera il tessuto della società e produce pace, ordine, convivenza civile tra i cittadini. Non si può vivere in una società in cui impera la cultura del sospetto, della sorveglianza, del controllo!

Sono convinto che pensassero a tutte queste cose i Responsabili SEAC (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario), quando hanno organizzato il XXVIII Seminario di Studi dal tema “Controllori e controllati” che si è svolto a Levico Terme (Trento) dal 22 al 24 Giugno 2006.

Fin dal primo giorno il tema del “tutti controllati e tutti controllori”  è stato sollevato dal Dott. Livio Ferrari  (Direttore del Centro Francescano di Ascolto di Rovigo)  che ha fatto notare come il mondo del volontariato che ha come valori la solidarietà, l’accoglienza, la condivisione si scontra oggi con un’altra visione economico-politico-sociale, che fa dell’esclusione, del profitto, della sopraffazione di una classe su un’altra le coordinate della sua azione.

E’ chiaro, ha aggiunto che più questa visione prende piede nella società più bisogno c’è di controllo. Un controllo affidato oggi ai nuovi ritrovati della tecnologia: intercettazioni telefoniche, videosorveglianza ecc. Una società così ossessionata dal bisogno di  “controllare” che anche nei luoghi più super controllati, le Carceri, si prevede un  “salto di qualità” nell’ambito del controllo, con la creazione. da parte del DAP (Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria), di una squadra speciale per controllare detenuti, Agenti, Volontari e Personale carcerario. Una notizia in seguito confermata anche dal Dott. Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del comune di Firenze).

Leggo dall’editoriale dalla Rivista prodotta nel Carcere di Bollate : “Il nuovo CarteBollate” Anno 1 n. 4/ 2006 maggio-Giugno: “Tra la fine del governo Berlusconi e l’inizio di quello di Romano Prodi, in quei giorni d’interregno, il capo del DAP, Giovanni Tinebra ha inviato una serie di ordini di servizio tesi a creare una rete di Intelligence interna alle carceri per controllare e monitorare in modo “continuativo e centralizzato” tutte le attività che avvengono nelle carceri italiane, i collegamenti con il mondo esterno, le attività del personale e degli agenti di polizia penitenziaria…Le attività d’Intelligence non si limiterebbero alle indagini sui detenuti in 41bis (come affermato il 26 maggio dopo l’interrogazione della deputata  del Prc Graziella Mascia), ma si allargherebbero ai detenuti ordinari e perfino, come parrebbe dalla circolare preparatoria firmata da Giovanni Tinebra, a chiunque operi nelle carceri.” Nello stesso numero in un riquadro a pagina 6 c’è l’intervento autorevole del Dott. Alessandro Margara, (Presidente Associazione Utopie Fattibili di Vicenza e già Presidente dello stesso DAP), che dichiara senza ombre di dubbio cheL’ufficio ispettivo del Dap non può avere compiti di spionaggio”.

Questo, dunque, l’orizzonte tematico in cui è avvenuto il suddetto Seminario.

La Chiesa presente nella persona del Vescovo di Trento Mons. Luigi Bressan ha dato il benvenuto a tutti i convegnisti augurando frutti copiosi che contribuiscano a migliorare l’impegno a servizio dei nostri fratelli che vivono nelle carceri, Il direttore della Caritas di Trento Dott. Francesco Malacarne, ha insistito molto sul “Cambiamento di mentalità” che deve avvenire nella Chiesa Italiana perché alle “parole seguano i fatti”

La Dottoressa Marzia Battel, Direttrice dell’ufficio Trattamento del Dipartimento del Triveneto, ha confermato il trend suddetto affermando “che si va sempre di più verso un regime poliziesco: L’Italia ha il primato in Europa, del  più alto numero di agenti di polizia penitenziaria: si arriva a quasi un agente per ogni detenuto. L’unico obiettivo da conseguire attualmente nelle carceri, sempre secondo la dott.sa  Battel, è il puro contenimento. Ma questa, ha aggiunto, è una questione meramente politica e culturale!  Nulla cambierà, ha ribadito,  finchè non sarà la stessa società a farsi carico del carcere. E dopo aver definito i mass media come il “più grande strumento di controllo delle menti”  ha confermato l’assoluta necessità “di una corretta informazione sul pianeta carcere.”

Ornella Favero, Responsabile del centro di documentazione Due Palazzi di Padova, ha portato come esempio un progetto realizzatosi a Padova che ci può aiutare a capire il “come” la società deve farsi carico delle problematiche carcerarie e contemporaneamente “come” fare corretta informazione sulle carceri.

L’esempio è quello del progetto: “Il carcere nella scuola e la scuola nel carcere”, avviato chiedendo agli studenti di molte scuole medie di esprimere attraverso dei temi il loro pensiero riguardo al carcere e ai detenuti.  Le risposte date dai ragazzi, chiaramente influenzati dall’informazione distorta dei media, era stata di assoluta condanna nei confronti delle persone detenute e di assoluta necessità di una più grande severità nelle carceri. Dopo l’incontro avvenuto con i detenuti sia nelle scuole sia nel carcere “I Due Palazzi”,  dopo aver ascoltato le loro storie e aver approfondito, seppur sommariamente, il funzionamento della giustizia penale in Italia, si è riscontrato un incredibile ribaltamento delle loro precedenti idee al riguardo, a tal punto, che alcuni detenuti hanno dovuto invitarli a riflettere con queste parole: “Attenzione ragazzi noi non siamo angeli, abbiamo commesso dei reati, però abbiamo desiderio di riparare il male fatto e reinserirci nella società”   La dott.sa  Favero ha poi concluso, dicendo che “l’obiettivo di produrre una corretta informazione sul “Pianeta Carcere” è una delle sfide che il volontariato dovrà affrontare nel prossimo futuro”

Don Albino Bizzotto, Presidente dell’Associazione “Beati i Costruttori di Pace”, ha insistito sulla necessità di lavorare in rete con tutti i movimenti del volontariato, facendo notare che i problemi della giustizia penale hanno a che vedere ormai, in un’era globalizzata,  con le politiche economiche, dell’immigrazione ecc. Non si può più  pensare a un impegno per settori, occorre unire gli sforzi!

Francesco Morelli, Redattore “Ristretti Orizzonti” di Padova, ha posto l’attenzione sull’assenza completa, nelle Carcere Italiane,  di extracomunitari appartenenti a comunità come quella dei Cingalesi  e quella  Filippina. In queste comunità vige un grande senso di appartenenza, i valori della famiglia e della solidarietà tra le persone sono al primo posto. Sono questi i valori che, vissuti profondamente, rendono in qualche modo inutile il controllo.

In altre parole “essere parte” della comunità è così “vitale”, che molto difficilmente i singoli individui correrebbero il rischio di uscirne a causa della trasgressione delle regole che la governano.

 

Una Rivoluzione culturale e politica

L’ultimo giorno del convegno dal tema “Per una società con meno carcere” ha visto tra l’altro l’intervento del Prof. Luciano Eusebi, Docente di diritto penale all’università cattolica di Piacenza, che ha esordito dicendo che il tema rimanda a “un problema prettamente culturale e politico ma “gestito” dai Mass Media” auspicando subito dopo l’avvento di una vera rivoluzione culturale, politica ed economica

“Innanzitutto è impensabile che in uno Stato di Diritto non sia esercitato da parte delle Istituzioni un “controllo” (specialmente sui poteri forti) che assicuri ai cittadini la ‘sicurezza dei diritti civili”.  Questo tema, la sicurezza dei diritti civili, ci porta a parlare immediatamente di prevenzione e del suo significato.

“La Prevenzione - ha affermato  Eusebi  -, non deve consistere nell’intimidazione : se commetti un reato la società ti arresta e ti manda in carcere = prevenzione generale; nel carcere soffri la mancanza della libertà e il ricordo di questa sofferenza ti impedirà di commettere altri reati per evitare di riviverla = prevenzione speciale),  né nella neutralizzazione: un agente di reato arrestato è neutralizzato cioè non può commettere altri reati, finché  è detenuto,  come, di fatto, viene intesa attualmente.

Una prevenzione di questo tipo è inefficace e ha esemplificato dicendo: “come intimidisci un terrorista kamikaze che è pronto a morire?”. Inoltre l’inefficace risalta ancora di più quando rifletti sul dato che l’80% dei crimini rimane impunito.

La stessa neutralizzazione è inefficace quando pensi che  “Se in una città in cui ci sono 100 rapinatori ne prendo 30, ma non lavoro perché nella città vengano meno le opportunità di base, quelle di ordine economico, di carattere sociale che danno luogo a 100 posti di rapinatore, di lì a una settimana quei 30 posti di rapinatori che sono stati liberati verranno immediatamente occupati da altri individui”.

Secondo il prof. Eusebi allora la società civile fa davvero prevenzione nella misura in cui mantiene alto il consenso dei cittadini alla norma morale: “Una prevenzione efficace e stabile non dipende dal timore, ma dal consenso. Non dimenticando che nulla rafforza l’autorevolezza del messaggio di una norma giuridica trasgredita più del fatto che proprio il trasgressore prenda le distanze dal pregresso comportamento illecito, così da attestare nel contesto di provenienza una libera e riconquistata adesione alle regole fondamentali della convivenza civile. Nulla rafforza di più il diritto e maggiormente destabilizza le organizzazioni criminali di una persona davvero recuperata dopo la commissione di un reato..” Inoltre ha anche aggiunto che “Siamo lontani un secolo dalla polemiche sul positivismo, sul libero arbitrio; nessuno mette in discussione che ci sta la libertà dell’essere umano, … Ma impregiudicata la dimensione della libertà umana è fuori di dubbio che esistono delle precondizioni strutturali di qualsiasi esercizio della libertà umana...”.

Occorre che la società nel suo insieme prenda coscienza della sua corresponsabilità nella genesi del fenomeno criminale… Se davvero vuole combattere il fenomeno criminale, ha continuato il dott. Eusebi “la società deve agire sui fattori economici-finanziari, sui fattori di disagio individuale, sui fattori sociali che determinano spazi percorribili per l’adozione di condotte offensive di beni fondamentali per la convivenza civile”.

Per quanto riguarda il carcere, la critica del prof. Eusebi è davvero demolitrice. Così argomenta: “l’intervento sulla libertà personale non rappresenta, tuttora, una fra le modalità della risposta al realizzarsi dei reati, bensì la sua forma tipica… E ha aggiunto che di fatto la pena del carcere è vista come “reazione analogica che riproduce rispetto al condannato la negatività del fatto colpevole, secondo una prospettiva di reciprocità (malum pro malo) . Anche se il diritto penale moderno asserisce di agire in senso preventivo, la modalità del suo agire resta retributiva: prevenzione mediante retribuzione…”

“…A questo punto risulta chiaro che l’idea di giustizia che sta alla base della pena intesa come privazione della libertà intende la pena come una sofferenza che si oppone a sofferenza, frattura che si aggiunge a frattura come male che risponde al male” ( la famosa legge del taglione: Occhio per occhio…). Su questo tema il prof. Eusebi afferma senza ombra di dubbio che “dal male non ci si può attendere alcun bene. Questa affermazione vale dal punto di vista etico, come dal punto di vista razionale.

 

Rivoluzionare l’idea della Giustizia

...Dunque l’idea della giustizia non deve più essere quella della bilancia, l’idea secondo la quale, chissà per quale ragione razionalmente sostenibile, può aversi un guadagno dal mero meccanismo dell’aggiunta di un male a un altro male…piuttosto va recuperata l’idea di una risposta sanzionatoria che cerchi una composizione rispetto all’innegabile frattura dei rapporti intersoggettivi, rappresentata dal reato… Al modello di Giustizia Retributiva (occhio per occhio… male per male) opponiamo un altro modello che intende la pena come un percorso che porti alla Composisizione della frattura creata dal reato,  alla Riconciliazione con la società e non alla separazione da essa, che opponga al male del reato non il male del carcere ma il bene di un Perrcorso Riabilitativo.

Don Bruno Oliviero

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