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Carcere e Territorio

1° Convegno Diocesano - Napoli - 28 febbraio 2009

 

 

 

Abbattere le mura e le cancellate...psicologiche!  

“Abbattere le mura e le cancellate psicologiche che separano la società civile e soprattutto la comunità cristiana dai nostri fratelli e sorelle detenuti” è questo l’invito pressante che il Card. Di Napoli, S.E. Crescenzio Sepe ha lanciato al vasto uditorio pervenuto Sabato mattina nella sala del Tempio di Nostra Signora del Buon Consiglio a Capodimonte. L’occasione gli è stata offerta dal 1° Convegno sulla realtà carceraria dal significativo titolo: “Carcere e Territorio”, svoltosi a Napoli e organizzato dal Centro di Pastorale Carceraria, diretto da don Franco Esposito, uno dei Cappellani del Carcere di Poggioreale.

 

Una strada senza sbocco... 

La dott.ssa Angelica Di Giovanni, Magistrato di Sorveglianza di Napoli, nel suo breve intervento ha voluto ringraziare sentitamente il Card. Sepe per l’attenzione che ha verso il mondo del carcere. La Signora Di Giovanni ha indicato come priorità assoluta l’aiuto che deve essere dato ai detenuti all’uscita dal carcere: “Senza la possibilità di un lavoro, la strada per il pieno reinserimento dei detenuti appare senza sbocco”. Rivolgendosi al mondo delle Istituzioni, della Chiesa, del volontariato, la dott.ssa Di Giovanni ha umilmente concluso: “Vi chiedo di aiutarci!”

 

La casa di "vetro" 

Nel suo intervento il dott. Tommaso Contestabile, Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria, ha, tra l’altro, ricordato come negli anni ’90 lo sforzo del DAP, era stato quello di rendere il carcere una “Casa di vetro” vale a dire un luogo trasparente dove la società civile poteva e doveva vederci “chiaro”. Il carcere sarà davvero una “Casa di vetro, quando la società civile si farà carico di tutto il cammino di riabilitazione dei detenuti fornendo quelle risorse e quei servizi indispensabili per il corretto funzionamento del Sistema.

 

Difendere i poveri o difendersi dai poveri? 

Appassionato è stato l’intervento della dott.ssa Stefania Tallei, della Comunità di Sant’Egidio, che ha fatto notare, tra l’altro,  come, secondo il suo parere, ci sia in atto un imbarbarimento della società: sembra che si stia… “tornando indietro”. Non più una società impegnata nel difendere i poveri perché siano pienamente integrati in essa, ma una comunità civile che sembra volersi difendere da essi…Quasi come se ne avesse paura.

 

Il carcere come "labirinto" 

Il gesuita Padre Fabrizio Valletti, nel suo intervento, ha paragonato il carcere ad un “labirinto”. Tante persone vi entrano guidate da “fili di disperazione” e non riescono più ad uscirne

Il padre Valletti, che opera a Scampia, ha affermato che di fili di disperazione, lì a Scampia, ne vede molti: povertà, degrado, mancanza d’istruzione, presenza di organizzazioni criminali etc.

Ha descritto anche quelli che, secondo il suo parere, potrebbero essere i “fili di speranza” che potrebbero portare fuori dal “labirinto carcere” i detenuti:

-     Filo di speranza è innanzi tutto la polizia penitenziaria, quando crea un’atmosfera di grande umanità all’interno dell’Istituto penitenziario. Questo clima “umano” aiuta molto i detenuti nel periodo in cui sono sottoposti alla pena detentiva.

-     Filo di speranza è Il magistrato di Sorveglianza quando, nonostante i rischi, prende il coraggio a due mani e viene incontro alle giuste aspettative dei detenuti che si comportano bene, che vogliono cambiare vita concedendo loro i benefici e i permessi previsti dalla legge Gozzini.

-     Filo di speranza sono le Istituzioni, quando, stimolando il mondo dell’impresa, creano possibilità di reale reinserimento per i detenuti dando loro la possibilità di lavorare.

-     Filo di speranza è il mondo del volontariato quando crea all’interno del carcere quell’atmosfera di solidarietà che è l’habitat nel quale il detenuto può crescere nella cultura della legalità.

 

Vittime e Carnefici 

L’intervento più atteso è stato senza dubbio quello della dott.ssa Rita Borsellino, sorella del Magistrato Paolo Borsellino morto il 19 Luglio 1992 nella strage di Via D’Amelio, insieme con i cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina. Claudio Traina.

Ha parlato “a braccio” la Signora Rita, e tra le tante cose, ha ricordato come suo fratello Paolo sia stato sempre per lei come un faro luminoso. Ha ricordato come durante l’infanzia, il fratello sia cresciuto e abbia frequentato la scuola con alcuni che poi erano diventati mafiosi. A volte parlando con lui di questi suoi amici lo vedeva rattristarsi in volto e porsi questa domanda: “Quando? Quando li ho persi… Dove erano il maestro, il prete, nel momento in cui questi miei amici si sono persi… Forse un’attenzione maggiore da parte loro avrebbe potuto evitare ai suoi amici di fare scelte sbagliate.”. La Signora Rita ha anche manifestato la sua fiducia nella possibilità che i detenuti hanno di riscattarsi, della scintilla di speranza che resta sempre accesa anche nel mafioso più crudele nonostante il male che può aver commesso.  

Rita Borsellino ha narrato, tra l’altro, un episodio che ha commosso tutti in sala. Il Cappellano di Rebibbia l’aveva più volte invitata a parlare nel Carcere. Lei gli aveva sempre risposto: “Dammi tempo”. Il Cappellano le aveva rivolto di nuovo l’invito in occasione del Giubileo delle Carceri del 2000, e questa volta lei aveva accettato. Il Direttore del carcere prima di accompagnarla nella vasta sala dove erano ad attenderla centinaia di detenuti, le aveva sussurrato all’orecchio: “Signora si ricordi che qua dentro, loro sono le vittime e lei è il carnefice”. La signora Rita ha evocato l’impatto emotivo che queste parole ebbero su di lei: che i detenuti potessero sentirsi vittime nel carcere poteva anche accettarlo, ma che lei fosse considerata un carnefice… questo le sembrava davvero paradossale,  però capi il messaggio che il Direttore aveva voluto trasmetterle e iniziò il suo intervento davanti ai detenuti dicendo: “La mia situazione è un po’ simile alla vostra…siamo stati allontanati dalle persone che amiamo…io, in modo definitivo, voi temporaneamente… questo ci unisce in qualche modo e ci permetterà di comunicare…”. Terminato l’intervento, il cappellano le disse: “Rita devi sapere che di solito in queste riunioni molti ne approfittano per alzarsi, uscire per fumare una sigaretta… durante il tuo intervento invece, nessuno si è mosso!”. Infatti alla fine molti detenuti si erano messi in fila per salutarla…fu colpita dall’imbarazzo che molti manifestarono…in tanti si scusarono con lei per quello che avevano fatto. C’erano ancora personaggi legati a Tangentopoli che le chiedevano perdono perché forse con il loro comportamento avevano creato quelle condizioni che portarono alla morte del fratello.

La Signora Rita Borsellino ha infine concluso la sua testimonianza in questo modo: “Molti mi chiedono se sono contenta dell’arresto di tanti mafiosi, alcuni collegati direttamente alla morte di mio fratello… io dico sempre che è giusto che queste persone siano assicurate alla giustizia, ma che io sono contenta se essi recuperano quella dignità che hanno perso. Io sono pronta a perdonare, ma essi devono riconoscere di aver sbagliato. Gesù dalla croce parla solo con il buon ladrone, con colui che riconosce di aver sbagliato e gli chiede: Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo Regno…” La signora Borsellino ha voluto infine ringraziare il Card. Sepe, la Chiesa, la società civile, le Istituzioni, il mondo del volontariato per quello che fanno per recuperare tanti fratelli e sorelle che vivono nel carcere, “perché esiste una nostra responsabilità, una responsabilità della società nei loro confronti, per il male che hanno fatto, altrimenti, - ha concluso, - ci saranno sempre da una parte le vittime e dall’altra i carnefici”.

Don Bruno Oliviero 

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