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"Quale configurazione futura della pena?"

   Convegno SEAC  13—16 Settembre 2001 Sintesi degli interventi del Convegno  

 

 

Nel corso dei secoli la concezione della giustizia ha originato una varia concezione della pena e degli attori che dovevano preoccuparsi di eseguirla.

·                Quando la giustizia era intesa in modo esclusivamente retributiva, la pena era intesa come un’afflizione da infliggere all’agente del reato un’afflizione che in qualche modo doveva essere proporzionale al crimine commesso e di segno contrario. Gli attori in questo caso erano il boia, il carceriere.

·                Quando la Giustizia è stata intesa in senso dissuasivo, nella pena si sottolineava la certezza. Non è importante l’intensità ma la certezza. Gli attori in questo caso sono l’apparato giudiziale e paragiudiziale.

·                Quando la giustizia viene intesa nel senso di giustizia riabilitativa, la pena deve essere rieducativa e gli attori sono innanzitutto gli educatori.

Oggi la giustizia viene intesa in questo modo come recita il codice di ordinamento penitenziale all’art. 27. Anche se ancora ci sono degli strascichi delle altre due concezioni di giustizia e di pena.

 

Il carcere crea una società più pericolosa

  Il tema scelto dai responsabili SEAC  per quant’anno è veramente di grande attualità. Di fronte al fallimento dell’istituzione Carcere, come è stato giustamente ricordato da Livio Ferrari, Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, è giusto domandarsi su quale deve essere la configurazione futura della pena, in un sistema penale che voglia davvero rispondere alle esigenze della sicurezza dei cittadini, da una parte e del diritto a un giusto processo e alla possibilità di un reinserimento dell’agente del reato dall’altra.

Ma nel futuro si parlerà ancora di pena?

Provocatorio e gravido di conseguenze è stata a questo riguardo la proposta fatta da Giuseppe Magno, Capo dipartimento della giustizia minorile, il quale dopo aver riassunto la concezione e la funzione della pena frutto della concezione della giustizia nel corso dei secoli (vedi riquadro), ha stupito tutti domandandosi: “Ma nel futuro si parlerà ancora di pena?” E ha spiegato il suo pensiero facendo uso di metafore: In Cina per un periodo tutti i genitori fasciavano i piedi delle bambine perché credevano di fare cosa buona. Ad un certo momento il governo proibì quest’usanza e per far rispettare l’ordine aveva istituito un corpo di ispettori che andavano per le case per assicurarsi che nessun genitore fasciasse i piedi alle bambine. Il  messaggio è che è assurdo delegare a una categoria il compito di assicurarsi del rispetto di una norma. Ancora nel passato nel caso di malattie contagiose la società civile costruiva dei luoghi chiamati Lazzaretto dove venivano confinati i malati, con la proibizione per tutti coloro che erano sani di avvicinarsi a quel luogo. Solo alcuni volontari osavano sfidare il pericolo per assistere le persone rinchiuse. Come però ha reagito la società di fronte a queste sfide? con la scoperta delle cause che provocavano quelle malattie, scoprendo le medicine, costruendo ospedali, ma soprattutto con l’igiene, la prevenzione…"Quando abbiamo pensato all'igiene per vincere le malattie non abbiamo pensato di affidarla a persone specializzate ma a tutta la società civile. Così per la criminalità (malattia sociale) è tutta la società civile che deve intervenire. Il volontariato è una 'prefigurazione' della società civile che si fa carico...e contemporaneamente è l'esercito che deve sensibilizzare la società civile rispetto alla prevenzione"  

Ancora il messaggio è non delegare a una categoria di persone quello che deve fare invece la società civile nel suo insieme.

Occorre allora sensibilizzare la Comunità civile perché collabori nell’eliminare gli ostacoli, come recita la Costituzione Italiana, che impediscono lo sviluppo pieno e armonico dei cittadini. Nel nostro caso gli ostacoli sono le realtà che originano il fenomeno cosiddetto criminale.

La criminalità come fenomeno sociale

“Siamo lontani— afferma il Prof. Luciano Eusebi, docente di diritto penale all’Università Cattolica di Milano,sede Piacenza, nel suo saggio sulla Riforma del Sistema Penale e Mediazione un secolo dalle polemiche sul positivismo, sul libero arbitrio; nessuno mette in discussione che ci sta la libertà dell’essere umano,… Ma impregiudicata la dimensione della libertà umana è fuori di dubbio che esistono delle precondizioni strutturali di qualsiasi esercizio della libertà umana...Questo ci fa capire che se a Brescia o a Verona  ci sono condizioni strutturali, cioè economiche, sociali ecc. che danno spazio a 100 posti di rapinatore e si fa una politica criminale che incida su tali precondizioni, risulta, non dico inutile, ma ampiamente limitato il fatto di avere catturato una serie di rapinatori se non si è inciso su quegli elementi che hanno dato spazio a quell’attività criminale Ecco perché finalmente la criminalità deve essere riguardata anche con strumenti di analisi economica. La criminalità ha delle basi perché si creino dei presupposti, perché qualcuno poi scelga di essere criminale…”.

La criminalità è dunque un fenomeno da prevenire, prima che punire.

Questo significa un’attenzione speciale ai giovani, ha continuato Giuseppe Magno, e ai fenomeni giovanili nel quali si manifesta la novità il futuro che aspetta la società negli anni avvenire. Niente di quanto succede nel pianeta giovani può essere perso.

La Prevenzione

Quindi non si deve parlare più di pena ma di Prevenzione! Il nome nuovo della Giustizia è dunque Prevenzione!

Prevenzione è la parola-evento che deve farsi sempre più strada nella coscienza della società civile e il volontariato è l’attore di questo processo.

Difatti è ancora il prof. Luciano Eusebi a ricordarci che “...per fare una buona prevenzione abbiamo bisogno di una società che prenda sul serio il tema della corresponsabilità alla genesi del fenomeno criminale.”

La totale irrazionalità del carcere infatti, come ha affermato Livio Ferrari, (irrazionale perché non riesce a raggiungere gli obiettivi per i quali esiste, difatti,  il carcere così com’è fallisce sia l’obiettivo della riabilitazione come quello della deterrenza, creando solamente una società più pericolosa) risponde ai bisogni di questa società che, di fronte alla complessità, cerca la separazione, la divisione, l’esclusione, invece di compiere uno sforzo per capire:

una società che dopo avere prodotto i comportamenti criminali, decide, sbrigativamente, di difendersi da ciò che ha prodotto, con mezzi duri. Per concludere allora il carcere dovrà rimanere l’estrema ratio, per usare le parole di Mons. Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano,  da usare quando nonostante la prevenzione sia necessario fermare, “arrestare” la persona che può essere pericolosa per se stessa e per gli altri.

La pena solidale

A questo riguardo la proposta fatta dal professor Gian Vittorio Pisapia, Docente di criminologia all’università di Padova, è stato un contributo assai prezioso:

Il progetto NexuS

Il progetto Nexus è il nome che attribuiamo a una struttura logistica nella quale sono presenti giudici, forze dell’ordine, servizi sociali e penitenziari, associazioni del privato-sociale e rappresentanti dei cittadini e nella quale sia possibile emettere sentenze individualizzate nel giro di poche ore dopo l’arresto, senza che la persona che ha commesso un reato (si parla di reati che non comportano pene superiori ai quattro anni) debba essere incarcerato in attesa di essere ascoltato dal magistrato e possa essere preso in carico dai servizi sociali. L’attività di questa struttura è rivolta in particolare (anche se non esclusivamente) a soggetti tossicodipendenti e stranieri che rappresentano come è noto, parte rilevante della popolazione detenuta….”

In altre parole il lavoro in rete che attualmente viene fatto dopo in un lungo lasso di tempo, verrebbe attuato fin dal primo momento dell’arresto dell’agente del reato.

Il convegno è andato avanti con il contributo di tutti i partecipanti che provenivano da tutte le regioni d’Italia in rappresentanza del volontariato cattolico che agisce nell’ambito della giustizia.

L’ultimo giorno ha visto la presenza del cappellano del carcere di Regina Coeli P. Vittorio Trani, del sottosegretario Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso P. Machado Felix del p. Vetrali Tecla esperto di ecumenismo e di un Iman di Roma.

Il problema della presenza nelle nostre carceri di tanti che non sono cristiani non può essere più sottovalutato.  

 

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Don Bruno Oliviero