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Lo spettacolo (non) è finito!

 

 

Il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Card. Angelo Bagnasco, parlando agli operatori dell'informazione in occasione della festa di san Francesco di Sales, il 24 gennaio scorso, avendo probabilmente, davanti agli occhi  il modo con il quale i media hanno presentato l’affondamento della Nave da crociera Costa-Concordia, dove hanno perso la vita decine di persone, ha lanciato un monito contro il costume di molti mezzi di informazione a "spettacolarizzare" l'informazione, in particolare le tragedie, definendolo diseducativo e irrispettoso. L’abitudine a trasformare tutto, comprese le tragedie, in qualcosa di sensazionale da dare in pasto alla fame di “emozioni forti” dell’uomo post-moderno, è il tema dello studio del filosofo tedesco Christoph Turke, trattato in un libro uscito in questo giorni, nella versione italiana, dal titolo significativo “La Società eccitata”.

 

La società eccitata

L’autore parte dall’affermazione che nella nostra società postmoderna il “sensazionalismo”,  da tipico modo di presentare le notizie usato nella stampa scandalistica, è “emigrato” e si è consolidato in tutto il sistema dei media. Difatti è l’unica via che permette di penetrare “nel sensorio ipersaturo di stimoli dei contemporanei”.  Non solo, la ricerca dello shock, dell’emozione violenta, della sensazione l’autore la vede presente in tutta la cultura post-moderna. La vede, infatti, nella pubblicità e nell’intrattenimento, nella pratica del piercing e nelle stragi più insensate, tra i tossicomani e i fondamentalisti. Non si salvano neppure gli intellettuali (lo stesso Turke non ne è immune, basta leggere il titolo del suo libro) che, per raggiungere i loro ascoltatori, fanno continuamente uso di slogan a effetto. Insomma, per Turke, lo “stato di ubriacatura” da shock mediatico è diventato “ the way of life” dell’uomo post-moderno.

 

“Perduti” nello schermo …

Secondo l ‘autore la società vive in uno stato di eccitazione perpetua, febbrile, s’intossica di stimoli, senza curarsi di dar loro un senso. Il rivoluzionamento ipertecnologico starebbe operando nell’umanità post-moderna, quindi,  una mutazione fenotipica, una sorta di regressione all’arcaico, a una fase primordiale della percezione. Difatti molti studi confermano che il bombardamento di immagini, a cui sono sottoposti anche i bambini, comporterebbe uno sviluppo della conoscenza della realtà solo attraverso la vista e avrebbe come conseguenza l’atrofia del ragionamento. Il problema è che senza il momento razionale un’esperienza non può dirsi veramente “umana”, non solo, ma il rischio più grande è l’illusione di “vivere” data dalle emozioni e le sensazioni provate attraverso le immagini elettroniche senza che in realtà tu abbia veramente neanche,  minimamente,  “sfiorato” la vita.

 

Non pensare segui l’istinto

Per ritornare al libro di Turke, l’ipotesi, insomma,  è che questa overdose di eccitazione mediatica, a cui è sottoposto l’uomo post-moderno, sta riportando l’umanità al modo di percepire dell’uomo primitivo.

I primi uomini erano molto più esposti di noi a esperienze traumatiche, come la lotta con le belve, ma mentre essi cercavano di controllare e, in qualche modo di superare le emozioni traumatiche, tra cui la paura,  di fronte ai pericoli di una natura non ancora conosciuta e dominata dal potere della ragione, l’umanità post-moderna vive completamente immersa in questo continuo “sballo dei sensi” , attraverso il tremendo potere dello schermo sempre più tecnologico, capace di produrre effetti speciali di notevole coinvolgimento emotivo. Una full immersion accettata e cercata,  a patto chiaramente che le varie guerre, calamità, disastri e stragi varie capitino agli altri e che tra quegli altri e noi ci sia il filtro rassicurante dello schermo. Secondo alcuni autori questa “sbornia” di emozioni forti servirebbe a nascondere il vuoto e la noia della generazione post-moderna. Una generazione che, a dispetto di tutti  progressi della scienza e della tecnica, è alla ricerca di un senso per vivere.

 

Il potere rigenerante del Silenzio

Illuminante a questo riguardo il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazione Sociali (20 Maggio 2012), dal titolo “Silenzio e Parola: cammino di Evangelizzazione.”.

Richiamando l’attenzione sull’importanza di riscoprire il valore del silenzio per una comunicazione veramente umana, il Santo Padre tra l’altro afferma che “è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di ‘ecosistema’ che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni.” Questo perché non solo  “nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggior chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci.”, ma anche perché “tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee.”

Il silenzio è anche l’atmosfera necessaria per far nascere e crescere l’amore difatti così continua il Santo Padre: “Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa.”

Il Santo Padre  afferma, tra l’altro,  che “la Rete sta diventando sempre più il luogo delle domande e delle risposte; anzi l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte. Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti.”

Difatti solo nel silenzio possono emergere, tra le domande importanti,  le domande ultime  “dell’esistenza umana: chi sono? Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? “

Il Santo Padre ricorda anche che il nostro Dio, Il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, l’unico che può riempire il vuoto profondo del nostro cuore,  parla nel silenzio e a volte con il silenzio. Difatti: “Nel silenzio della Croce parla l’eloquenza dell’amore di Dio vissuto sino al dono supremo.”

P. Elia del M.C.

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