Uccidere per Prevenire?
In questa guerra in Irak si è sentita per la prima volta l’espressione “guerra di prevenzione”.
Nell’intenzione dei propugnatori di questa formula ci sarebbe la convinzione che per evitare un futuro crimine è non solo lecito, ma doveroso intervenire anche con la violenza, è doveroso intervenire anche se a pagare saranno persone innocenti.
Il ragionamento dovrebbe essere più o meno questo: Tu, (persona, organizzazione, stato) nel futuro potresti essere pericoloso, potresti essere un problema per noi per questo noi ci sentiamo autorizzati a neutralizzarti in un modo o in un altro.
Qualche tempo fa partecipai a un Convegno organizzato dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, il cui tema era “Quale configurazione futura della pena”.
Ricordo che rimasi particolarmente colpito dall’intervento del Dott. Giuseppe Magno, Capo del Dipartimento della Giustizia Minorile il quale alla provocatoria domanda così rispondeva: il futuro della pena sarà la Prevenzione!
Prevenzione intesa nel senso di eliminare per quanto possibile le condizioni che creano i futuri criminali e quindi i futuri crimini e quindi le future pene per i criminali che hanno commesso crimine. Sembra un gioco di parole, eppure…
Prevenire, dicevano gli antichi Saggi, è meglio che curare!
Il grande Santo S. Giovanni Bosco aveva, alla fine dell’ottocento, fatto proprio questo detto tanto da farne il cuore della sua Pastorale Giovanile. Il Sistema Preventivo di S. Giovanni Bosco è il cuore della Spiritualità Salesiana. L’esempio di S. Giovanni Bosco, che girava per la periferia di Torino, all’inizio della prima industrializzazione, cercando di strappare dalla strada i giovani per insegnargli un lavoro e potersi così inserire come cittadini e cristiani nella società, è ancora seguito da tutti coloro che si rifanno a lui.
I Saggi moderni però non la pensano così. La loro formula potrebbe essere questa:
Eliminare (in qualsiasi modo) è meglio che prevenire e ancor più che curare.
- Per esempio: quando i fautori dell’aborto portano tante ragioni a favore della “legalità” dell’uccisione del nascituro non è alla fine perché questo bambino nel futuro potrebbe essere un problema per lui o per gli altri. E quindi la società civile deve sentire il dovere di intervenire per eliminare quello che nel futuro potrebbe essere una minaccia. Perché aspettare che il problema si ponga, per poi cercare di risolverlo o curarlo? Perché non intervenire prima ancora che il problema si ponga?
- I fautori della “dolce morte” non si rifanno forse allo stesso principio quando affermano il diritto della persona, in nome della dignità della stessa, di decidere di non dare fastidio a nessuno e di accelerare un processo che, lasciato a se stesso, porterebbe solo problemi alla persona stessa e alla comunità?
Bisogna riconoscere che questo principio ha una sua “logicità”... In base a questo principio si potrebbe dire, per esempio ai disoccupati : Perché vivere una vita grama, ai margini della società, una vita fatta di stenti di umiliazioni. Una vita che potrebbe portare tanti problemi alla società ( i disoccupati presi dalla disperazione potrebbero diventare pericolosi). Quindi l’invito all’ autoeliminazione per evitare una sofferenza inutile, visto che un lavoro per tutti non ci sarà mai. (Non sono mancati negli ultimi tempi casi di cronaca che hanno visto per protagonisti disoccupati)
La "soluzione finale" data dagli uomini
A pensarci bene poi mi sembra che l’ideologia nazista pensasse allo stesso modo: In questo mondo non c’è posto per tutti quindi è giusti che il mondo sia della super razza. Questa società di super uomini non solo pensava che era lecito ma sentiva il dovere, addirittura un compito storico, quello di “eliminare” le razze cosiddette inferiori…
La "soluzione " data da Dio
Una “follia” che secondo S. Paolo è più sapiente della sapienza degli uomini. Perché è piaciuto a Dio “risolvere” i problemi degli uomini attraverso la follia della Croce!
Il “dare la vita”, e non “il toglierla”, è l’unica soluzione per le problematiche che affronta la società non solo dell’inizio del terzo millennio ma dell’umanità di sempre.
Don Bruno Oliviero