Passione di Cristo, passione dei Carcerati
La Sacra Sindone esposta a Torino
In questi giorni a Torino è esposta la Sacra Sindone. Il Cardinale di Torino, Severino Poletto, ha descritto l’ostensione come un evento di natura prettamente spirituale. Quel volto, ha detto il cardinale, indica a tutti la stretta relazione tra la passione del Signore e le sofferenze umane, passate e presenti. Il Cardinale Poletto ha poi elencato alcune di queste sofferenze davanti alle quali restiamo muti, disorientati, ha parlato di ammalati e di moribondi; di poveri e di coloro che hanno perso il posto di lavoro o che sono in cassa integrazione; ha citato le famiglie lacerate e divise; ha ricordato i molti immigrati onesti che non si sentono accolti e integrati; ha parlato della Chiesa che in tante parti del mondo è perseguitata. Certamente il Cardinale non aveva la pretesa di elencare tutte le sofferenze di cui è afflitta l’umanità oggi. Io vorrei aggiungere a questa lista le sofferenze dei carcerati …
E’ necessario che si sappia …
E’ necessario che si sappia che se la capienza regolamentare di quarantaquattro mila carcerati è già stata superata da tempo, a marzo s’è sforata anche la tolleranza massima dei nostri 207 istituti di pena che è di circa 60.000 posti. Attualmente sono presenti nelle carceri Italiane 67.208 detenuti.
E’ necessario che si sappia che I detenuti, ammassati in piccoli spazi, sono costretti a restare venti ore al giorno dietro le sbarre, senza educatori, senza lavorare, senza socializzare. Fra violenze, risse e suicidi.
E’ necessario che si sappia che, di questi, circa la metà è in attesa di giudizio (quindi sono presunti innocenti). Le statistiche ci dicono che ben il trenta per cento di essi saranno assolti.
E’ necessario che si sappia che dall’inizio dell’anno ci sono stati 54 morti di cui 16 suicidi.
E’ necessario che si sappia che gli stessi responsabili del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria ci dicono che il 70% dei detenuti, se fossero stati aiutati dalla Società, non sarebbero finiti in prigione.
Che cosa significa questo? Significa che la maggior parte dei detenuti non ha fatto una scelta criminale. Se sapessimo la storia di sofferenza, di umiliazione, di patimenti che c’è dietro ad ognuno di questi nostri fratelli …
E’ necessario che si sappia che il 30% dei detenuti è dentro per reati connessi alla droga.
E’ necessario che si sappia dell’allarme che c’è in Italia riguardo al consumo di sostanze stupefacenti da parte dei nostri giovani. Che cosa può significare per tanti giovani vedersi esclusi dal mercato dl lavoro, non vedere un avvenire sicuro, nonostante i tanti sacrifici fatti per studiare … quale disperazione può sorgere nella loro mente e a quali azioni sconsiderate questa disperazione può portare … I dati sulle stragi del Sabato sera sono sotto i nostri occhi: è un bollettino di guerra!
E’ necessario che si sappia che un altro 30% dei detenuti è extracomunitario. Certo il problema dell’immigrazione è un problema serio. Un problema globale che richiede risposte globali. Un singolo paese, come l’Italia, da solo non può risolverlo … Però anche qui se sapessimo le storie di sofferenza e di abbandono nelle quali vivono milioni di nostri fratelli nei paesi del cosiddetto terzo mondo … un miliardo di nostri fratelli e sorelle costretti a vivere con 50 centesimi al giorno, mentre da noi Il cibo si butta perché è del giorno prima, e gli abiti sono dimessi perché non più alla moda … Noi cristiani, in modo particolare, dovremmo interrogarci sulle ingiustizie che ci sono nel mondo. Per ritornare alle problematiche drammatiche che affliggono il pianeta carcere, possiamo affermare con sicurezza che i detenuti veramente pericolosi sono 1 su 6. Questo significa che la maggior parte dei detenuti potrebbe scontare una pena alternativa fuori dal carcere.
Il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in questi giorni vuole presentare al Parlamento alcuni provvedimenti che potrebbero aiutare non solo i carcerati, ma anche tutti gli Operatori che lavorano nelle carceri Italiane, primi fra tutti gli agenti di Polizia Penitenziaria, che sono costretti a gestire una situazione davvero impossibile, a volte a rischio della loro stessa incolumità. Sono due, in modo, particolare i provvedimenti deflattivi che il Ministro vorrebbe proporre al Parlamento.
Il primo è quello di concedere gli arresti domiciliari, (si badi bene gli arresti domiciliari, non la libertà) a coloro che devono scontare l’ultimo anno di pena per reati non gravi.
Il secondo la cosiddetta “messa alla prova” per coloro che, incensurati (cioè al primo reato non grave), rischiano meno di tre anni ma dimostrano di voler fare un patto con la società e si impegnano a ripagare, in qualche modo, il danno prodotto alla stessa.
Vorrei concludere questa breve riflessione con un appello: noi, cristiani e cittadini della cosiddetta società civile, dovremmo avere il coraggio di chiederci: Che cosa vogliamo fare di questi nostri fratelli detenuti? Vogliamo davvero recuperarli come ci insegna la Carta Costituzionale, o vogliamo abbandonarli perché diventino peggiori di prima? Questi interrogativi non sono dettati da un falso buonismo che vuole chiudere gli occhi davanti alla realtà del male, ma dal desiderio concreto di produrre più sicurezza per noi e per i nostri figli.
Don Bruno Oliviero