"Quale configurazione futura della pena?"
Nel
corso dei secoli la concezione della giustizia ha originato una varia
concezione della pena e degli attori che dovevano preoccuparsi di
eseguirla. ·
Quando la giustizia era intesa in modo esclusivamente
retributiva, la pena era intesa come un’afflizione da infliggere
all’agente del reato un’afflizione che in qualche modo doveva essere
proporzionale al crimine commesso e di segno contrario. Gli attori in
questo caso erano il boia, il carceriere. ·
Quando la Giustizia è stata intesa in senso dissuasivo,
nella pena si sottolineava la certezza. Non è importante l’intensità
ma la certezza. Gli attori in questo caso sono l’apparato giudiziale e
paragiudiziale. ·
Quando la giustizia viene intesa nel senso di giustizia
riabilitativa, la pena deve essere rieducativa e gli attori sono
innanzitutto gli educatori. Oggi la giustizia
viene intesa in questo modo come recita il codice di ordinamento
penitenziale all’art. 27. Anche se ancora ci sono degli strascichi delle
altre due concezioni di giustizia e di pena. |
Ma nel futuro si parlerà ancora di
pena?
Provocatorio e gravido di conseguenze è stata a questo riguardo la proposta fatta da Giuseppe Magno, Capo dipartimento della giustizia minorile, il quale dopo aver riassunto la concezione e la funzione della pena frutto della concezione della giustizia nel corso dei secoli (vedi riquadro), ha stupito tutti domandandosi: “Ma nel futuro si parlerà ancora di pena?” E ha spiegato il suo pensiero facendo uso di metafore: In Cina per un periodo tutti i genitori fasciavano i piedi delle bambine perché credevano di fare cosa buona. Ad un certo momento il governo proibì quest’usanza e per far rispettare l’ordine aveva istituito un corpo di ispettori che andavano per le case per assicurarsi che nessun genitore fasciasse i piedi alle bambine. Il messaggio è che è assurdo delegare a una categoria il compito di assicurarsi del rispetto di una norma. Ancora nel passato nel caso di malattie contagiose la società civile costruiva dei luoghi chiamati Lazzaretto dove venivano confinati i malati, con la proibizione per tutti coloro che erano sani di avvicinarsi a quel luogo. Solo alcuni volontari osavano sfidare il pericolo per assistere le persone rinchiuse. Come però ha reagito la società di fronte a queste sfide? con la scoperta delle cause che provocavano quelle malattie, scoprendo le medicine, costruendo ospedali, ma soprattutto con l’igiene, la prevenzione…"Quando abbiamo pensato all'igiene per vincere le malattie non abbiamo pensato di affidarla a persone specializzate ma a tutta la società civile. Così per la criminalità (malattia sociale) è tutta la società civile che deve intervenire. Il volontariato è una 'prefigurazione' della società civile che si fa carico...e contemporaneamente è l'esercito che deve sensibilizzare la società civile rispetto alla prevenzione"
Ancora il messaggio è non delegare a una categoria di persone
quello che deve fare invece la società civile nel suo insieme.
Occorre allora sensibilizzare la Comunità civile perché collabori
nell’eliminare gli ostacoli, come recita la Costituzione Italiana, che
impediscono lo sviluppo pieno e armonico dei cittadini. Nel nostro caso gli
ostacoli sono le realtà che originano il fenomeno cosiddetto criminale.
La criminalità come fenomeno sociale
“Siamo lontani—
afferma il Prof. Luciano
Eusebi, docente di diritto penale all’Università Cattolica di Milano,sede Piacenza,
nel suo saggio sulla Riforma
del Sistema Penale e Mediazione — un secolo dalle polemiche sul positivismo, sul libero
arbitrio; nessuno mette in discussione che ci sta la
libertà dell’essere umano,… Ma impregiudicata la dimensione della libertà
umana è fuori di dubbio che esistono delle precondizioni strutturali di
qualsiasi esercizio della libertà umana...Questo ci fa capire che se a Brescia
o a Verona ci sono condizioni
strutturali, cioè economiche, sociali ecc. che danno spazio a 100 posti di
rapinatore e si fa una politica criminale che incida su tali precondizioni,
risulta, non dico inutile, ma ampiamente limitato il fatto di avere catturato
una serie di rapinatori se non si è inciso su quegli elementi che hanno dato
spazio a quell’attività criminale Ecco perché finalmente la criminalità
deve essere riguardata anche con strumenti di analisi economica. La criminalità
ha delle basi perché si creino dei presupposti, perché qualcuno poi scelga di
essere criminale…”.
La criminalità è dunque un fenomeno da
prevenire, prima che punire.
Questo significa un’attenzione speciale ai giovani, ha
continuato Giuseppe Magno, e ai fenomeni giovanili nel quali si manifesta la
novità il futuro che aspetta la società negli anni avvenire. Niente di quanto
succede nel pianeta giovani può essere perso.
La Prevenzione
Quindi non si deve parlare più di pena ma di
Prevenzione! Il
nome nuovo della Giustizia è dunque Prevenzione!
Prevenzione è la parola-evento che deve farsi sempre più strada
nella coscienza della società civile e il volontariato è l’attore di questo
processo.
Difatti è ancora il prof. Luciano Eusebi a ricordarci che “...per
fare una buona prevenzione abbiamo bisogno di una società che prenda sul serio
il tema della corresponsabilità alla genesi del fenomeno criminale.”
La totale irrazionalità del carcere infatti, come ha affermato
Livio Ferrari, (irrazionale perché non riesce a raggiungere gli obiettivi per i
quali esiste, difatti, il carcere così com’è fallisce sia l’obiettivo della
riabilitazione come quello della deterrenza, creando solamente una società più
pericolosa) risponde ai bisogni di questa società che, di fronte alla
complessità, cerca la separazione, la divisione, l’esclusione, invece di
compiere uno sforzo per capire:
una società che dopo avere prodotto i comportamenti
criminali,
decide, sbrigativamente, di difendersi da ciò che ha prodotto, con mezzi duri.
Per concludere allora il carcere dovrà rimanere l’estrema ratio, per usare le
parole di Mons. Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano,
da usare quando nonostante la prevenzione sia necessario fermare,
“arrestare” la persona che può essere pericolosa per se stessa e per gli
altri.
La pena solidale
A questo riguardo la proposta fatta dal professor Gian Vittorio
Pisapia, Docente di criminologia all’università di Padova, è stato un
contributo assai prezioso:
Il progetto NexuS |
Il progetto Nexus è il nome che attribuiamo a una struttura
logistica nella quale sono presenti giudici, forze dell’ordine, servizi
sociali e penitenziari, associazioni del privato-sociale e rappresentanti dei
cittadini e nella quale sia possibile emettere sentenze individualizzate nel
giro di poche ore dopo l’arresto, senza che la persona che ha commesso un
reato (si parla di reati che non comportano pene superiori ai quattro anni)
debba essere incarcerato in attesa di essere ascoltato dal magistrato e possa
essere preso in carico dai servizi sociali. L’attività di questa struttura è
rivolta in particolare (anche se non esclusivamente) a soggetti
tossicodipendenti e stranieri che rappresentano come è noto, parte rilevante
della popolazione detenuta….”
In altre parole il lavoro in rete che attualmente viene fatto dopo
in un lungo lasso di tempo, verrebbe attuato fin dal primo momento
dell’arresto dell’agente del reato.
Il convegno è andato avanti con il contributo di tutti i
partecipanti che provenivano da tutte le regioni d’Italia in rappresentanza
del volontariato cattolico che agisce nell’ambito della giustizia.
L’ultimo giorno ha visto la presenza del cappellano del carcere
di Regina Coeli P. Vittorio Trani, del sottosegretario Pontificio Consiglio per
il dialogo interreligioso P. Machado Felix del p. Vetrali Tecla esperto di
ecumenismo e di un Iman di Roma.
Il problema della presenza nelle nostre carceri di tanti che non
sono cristiani non può essere più sottovalutato.
Don Bruno Oliviero