Il carcere sta cambiando...in peggio!
Ormai è diventato un coro, l’allarme lanciato da più parti sulla situazione esplosiva in cui versano le carceri Italiane.
Un articolo di Attilio Bolzoni, pubblicato sulla “Repubblica” del 4 luglio 2005 così titolava:
“Carceri, l’universo che esplode: mai così tanti i detenuti: 60.000”
Il magistrato Adriano Sansa sulla famiglia Cristiana n° 40, 2005 uscito a fine settembre così titolava: “Il carcere scoppia bisogna cambiare.”
Il carcere è cambiato
In realtà il carcere scoppia proprio perché è già cambiato, ma in peggio, e la “causa” principale è la questione degli immigrati. Così si esprime Marta Costantino, direttrice del carcere di Saluzzo: “Dopo le rivolte degli anni ’60, dopo le catene di omicidi, con la legge Gozzini si era arrivati ad una pacificazione, ad un patto fondato su uno scambio, sul rispetto delle regole: tu detenuto ti comporti bene, io carcere ti offro la possibilità di accedere a tutti i benefici. Ma adesso chi lo deve fare questo patto? Lo straniero che non ha una casa per usufruire degli arresti domiciliari, uno che non ha famiglia, uno che non ha nemmeno un nome, ma ne ha sei o sette di nomi e tutti falsi?”
I detenuti extracomunitari
Attualmente i detenuti extracomunitari sono il 30% della popolazione carceraria totale.
Il professor Alberto Lo Presti, insegna alla facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università san Tommaso d’Aquino – Angelicum, nel presentare i risultati della ricerca sociologica: “Le condizioni civili dei detenuti stranieri nelle carceri italiane” così si esprime: “Il detenuto straniero viveva prima di entrare in carcere una condizione assai precaria, di emarginazione e di sbandamento. Ma la cosa più sorprendente, l’abbiamo scoperta successivamente all’ingresso in carcere. Una volta entrato in carcere, le cose continuano allo stesso modo. Spesso il detenuto straniero vive una sorte di esclusione sostanziale anche in carcere.”. (La Pastorale del Penitenziario, Gennaio-Fabbraio 2005, anno IX n°1, pag. 20)
I detenuti tossicodipendenti
I detenuti in carcere per reati riguardati le sostanze stupefacenti sono il 30% del totale.
A questo riguardo per l’ex sottosegretario alla Giustizia, il dott. Franco Corleone “tutto si è stravolto nel 1990 con la legge Craxi sulla droga. Dopo due anni i detenuti erano già un terzo in più. Ho fatto il conto che, da quella legge, i tossicodipendenti hanno scontato in Italia qualcosa come 22.000 anni”.
A questo riguardo Il dott. Luigi Pagano, provveditore PRAP Milano, afferma che “prima le comunità erano aperte a tutti ed era anche difficile entrarvi perché c’erano lunghe file, specie nelle comunità ‘di grido’. Oggi c’è una crisi di comunità: molti non vanno in comunità perché le trovano più dure rispetto al carcere, molti altri, invece, non ci vanno perché non si sa a chi addebitare la retta.”.
Il carcere allora rischia di diventare, continua il dott. Pagano, una “grossa ‘casa di accoglienza’ di persone disagiate, di persone già emarginate all’esterno, un luogo dove vengono irrogati dei ‘servizi sociali’ che la società non può, non vuole o non sa dare”.
Poi, come in quadro riassuntivo, così si esprime: “Da un punto di vista giuridico, …il carcere può dividersi in due grandi aree: quella relativa ai c.d. comuni, per il 60 e 70% del totale, reati contro il patrimonio, segnalatamente furti, nonché le ipotesi meno gravi di delitti relativi allo spaccio di sostanze stupefacenti, e quella riferente al circuito di alta sicurezza, reati particolarmente gravi, per lo più associativi che riguarda circa il 10% della popolazione totale.”.
Per cui così conclude “La finalità della creazione del circuito ad alta sicurezza, …dichiaratamente già nel nome risponde non a logiche di recupero bensì di mera sicurezza, …Ma gli stessi detenuti appartenenti al circuito ordinario, oramai per lo più stranieri e/o tossicodipendenti come si diceva, appaiono esclusi, non dichiaratamente stavolta, da ogni ipotesi trattamentale.”.. (La Pastorale del Penitenziario, Novembre-Dicembre 2004, anno VIII, n°6. pagg. 485-493)
In questo senso il carcere è cambiato in peggio perché non esiste più quel tipo medio di detenuto “italiano”, che aveva un aggancio con la realtà esterna, una famiglia, una casa, ecc. e per il quale era stato tarato tutto l’impianto trattamentale dell’Ordinamento Penitenziario.
Il carcere: una struttura antiumana e anticristiana
Questo il giudizio di S. E. Mons. Giancarlo Bregantini, Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, che, dopo aver analizzato la situazione attuale del carcere, così si esprime: “Volendo riassumere in una espressione, che potrebbe sembrare troppo forte, il carcere è una struttura violenta, che limita in modo forzato quasi totalmente la libertà fisica ed è dunque una struttura in sé antinumana e anticristiana.”. (La Pastorale del Penitenziario, Maggio-Giugno 2005, anno IX n°3)
L'Alta Sicurezza
Come non essere d’accordo con quanto afferma Mons. Brigantini? Come cappellano del carcere di Poggioreale e in particolare come responsabile delle catechesi svolte nei padiglioni di Alta Sicurezza, Genova e Livorno, ogni giorno mi trovo ad incontrare fratelli che sono costretti a restare in celle di 3 metri per 4, 22 ore su 24. Non esiste trattamento per loro, non esiste possibilità di studiare né esiste possibilità di lavorare. Voglio ancora ricordare che la maggioranza di questi nostri fratelli sono in attesa di giudizio, questo significa che sono presunti innocenti!
Il dott. Pagano ci ha detto che “La finalità della creazione del circuito ad alta sicurezza, …dichiaratamente già nel nome risponde non a logiche di recupero bensì di mera sicurezza”, ma se per il legislatore i detenuti ristretti nei padiglioni di alta sicurezza – ammesso che siano veramente colpevoli - sono irrecuperabili, possiamo noi discepoli di Cristo pensarla allo stesso modo?
C’è qualcosa che Dio non è capace di fare? Alla scuola del vangelo noi abbiamo imparato che “Nulla è impossibile a Dio!” Ed Egli stesso parlando attraverso il profeta Ezechiele ci dice: “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto diventeranno bianchi come la neve”. Certamente se una persona si chiude all’azione salvifica dello Spirito Santo, neanche Dio può fare nulla, proprio perché mai il Signore toglierebbe la libertà agli esseri umani. Noi, però, come Comunità dei discepoli del Risorto, ci dobbiamo interrogare: abbiamo fatto tutto quanto è in nostro potere per collaborare all’azione salvifica di Dio? Inoltre vorremmo tanto chiedere a coloro che si preparano a governare l’Italia, che, oltre alle questioni economiche, alle politiche estere, ci dicano prima come pensano di continuare a gestire questi nostri fratelli e sorelle che pur se rei di gravi reati, non per questo hanno perso i diritti fondamentali della persona umana. Come dice al riguardo il magistrato Adriano Sansa: “Occorrerebbe un’esplosione di buon senso e di buon governo”.
Don Bruno Oliviero