L'omelia di S.E. Card. Joseph Ratzinger, ora S.S. Benedetto XVI, tenuta durante la celebrazionbe della S, Messa “pro eligendo romano pontifice” il 18 Aprile 2005
«In quest'ora di grande
responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il
Signore ci dice con le sue stesse parole. Dalle tre letture vorrei scegliere
solo qualche passo, che ci riguarda direttamente in un momento come questo».
«La prima lettura offre un ritratto profetico
della figura del Messia - un ritratto che riceve tutto il suo significato dal
momento in cui Gesù legge questo testo nella sinagoga di Nazareth, quando dice:
«Oggi si è adempiuta questa scrittura». Al centro del testo profetico
troviamo una parola che - almeno a prima vista - appare contraddittoria. Il
Messia, parlando di sè, dice di essere mandato «a promulgare l'anno di
misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio». Ascoltiamo,
con gioia, l'annuncio dell'anno di misericordia: la misericordia divina pone un
limite al male - ci ha detto il Santo Padre. Gesù Cristo è la misericordia
divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio.
Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l'unzione sacerdotale;
siamo chiamati a promulgare - non solo a parole ma con la vita, e con i segni
efficaci dei sacramenti, »l'anno di misericordia del Signore».
«Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo
in solidarietà con la sua sofferenza - diveniamo disponibili a completare nella
nostra carne »quello che manca ai patimenti di Cristo».
Passiamo alla seconda lettura, alla lettera agli Efesini.
Qui si tratta in sostanza di tre cose: in primo luogo, dei ministeri e dei
carismi nella Chiesa, come doni del Signore risorto ed asceso al cielo; quindi,
della maturazione della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, come
condizione e contenuto dell'unitá nel corpo di Cristo; ed, infine, della comune
partecipazione alla crescita del corpo di Cristo, cioè della trasformazione del
mondo nella comunione col Signore. Soffermiamoci solo su due punti. Il primo è
il cammino verso »la maturitá di Cristo»; così dice, un pò semplificando,
il testo italiano. Più precisamente dovremmo, secondo il testo greco, parlare
della »misura della pienezza di Cristo», cui siamo chiamati ad arrivare per
essere realmente adulti nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede,
in stato di minoritá. E in che cosa consiste l'essere fanciulli nella fede?
Risponde San Paolo: significa essere »sballottati dalle onde e portati qua e lá
da qualsiasi vento di dottrina?». Una descrizione molto attuale!
«Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi
ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero...
La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da
queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino
al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad
un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni
giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull'inganno
degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore.
Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene
spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il
lasciarsi portare »qua e lá da qualsiasi vento di dottrina», appare come
l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una
dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia
come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
«Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il
Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. »Adulta» non
è una fede che segue le onde della moda e l'ultima novitá; adulta e matura è
una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo. È quest'amicizia che
ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero
e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa
fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede -
che crea unitá e si realizza nella caritá. San Paolo ci offre a questo
proposito - in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come
fanciulli sballottati dalle onde - una bella parola: fare la veritá nella caritá,
come formula fondamentale dell'esistenza cristiana. In Cristo, coincidono veritá
e caritá. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita,
veritá e caritá si fondono. La caritá senza verità sarebbe cieca; la verità
senza carità sarebbe come »un cembalo che tintinna».
«Veniamo ora al Vangelo, dalla cui ricchezza
vorrei estrarre solo due piccole osservazioni. Il Signore ci rivolge queste
meravigliose parole: »Non vi chiamo più servi? ma vi ho chiamato amici».
Tante volte sentiamo di essere - come è vero - soltanto servi inutili. E, ciò
nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua
amicizia. Il Signore definisce l'amicizia in un duplice modo. Non ci sono
segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua
piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il
suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va
fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con
il suo io: »questo è il mio corpo...», »io ti assolvo...». Affida il suo
corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli
mani la sua verità - il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il
mistero del Dio che »ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito».
Ci ha reso suoi amici - e noi come rispondiamo?».
«Ma cosa vuol dire Isaia quando annuncia il
"giorno della vendetta per il nostro Dio"? Gesù, a Nazareth, nella
sua lettura del testo profetico, non ha pronunciato queste parole - ha concluso
annunciando l'anno della misericordia. È stato forse questo il motivo dello
scandalo realizzatosi dopo la sua predica? Non lo sappiamo. In ogni caso il
Signore ha offerto il suo commento autentico a queste parole con la morte di
croce. "Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce?»,
dice San Pietro. E San Paolo scrive ai Galati: "Cristo ci ha riscattati
dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come
sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perchè in Cristo Gesù la
benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello
Spirito mediante la fede". La misericordia di Cristo non è una grazia a
buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo
e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli
brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente.
Il giorno della vendetta e l'anno della misericordia coincidono nel mistero
pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso,
nella persona del Figlio, soffre per noi».
«Il secondo elemento, con cui Gesù definisce l'amicizia,
è la comunione delle volontà. Idem velle - idem nolle», era anche per i
Romani la definizione di amicizia. »Voi siete miei amici, se fate ciò che io
vi comando». L'amicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda
del Padre nostro: »Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra».
Nell'ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in
volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma
della nostra autonomia - e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio,
ci dona la vera libertà: »Non come voglio io, ma come vuoi tu». In questa
comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù,
diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo,
tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti.
Grazie Gesù, per la tua amicizia!».
«L'altro elemento del Vangelo - cui volevo
accennare - è il discorso di Gesù sul portare frutto: »Vi ho costituito perchè
andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga». Appare qui il dinamismo
dell'esistenza del cristiano, dell'apostolo: vi ho costituito perchè andiate?
Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l'inquietudine di portare a
tutti il dono della fede, dell'amicizia con Cristo. In verità, l'amore,
l'amicizia di Dio ci è stata data perchè arrivi anche agli altri. Abbiamo
ricevuto la fede per donarla ad altri - siamo sacerdoti per servire altri. E
dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una
traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non
rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste
cose scompaiono. L'unica cosa, che rimane in eterno, è l'anima umana, l'uomo
creato da Dio per l'eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo
seminato nelle anime umane - l'amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare
il cuore; la parola che apre l'anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e
preghiamo il Signore, perchè ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane.
Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio».
«Ritorniamo infine, ancora una volta, alla lettera agli Efesini. La lettera
dice - con le parole del Salmo 68 - che Cristo, ascendendo in cielo, »ha
distribuito doni agli uomini». Il vincitore distribuisce doni. E questi doni
sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è
un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo - il mondo nuovo.
Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa
ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perchè dopo il grande
dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore,
un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia.
Amen»