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L'esperimento di Palo Alto (Stanford Prison Experiment)

 Nell’Agosto del 1971, apparve un annuncio sul giornale “Palo Alto Times” “Occorrono studenti universitari maschi per un esperimento psicologico sulla vita carceraria. La paga sarà di 15 dollari a giorno per un totale di una o due settimane…” . 70 giovani universitari risposero all’annuncio. Furono scelti 24 perché dopo le interviste e i test ai quali parteciparono furono giudicati di salute buona, i più normali, di intelligenza media. A sorte (testa o croce) si decise chi dovesse fare la guardia penitenziaria e chi il detenuto.

  Quelli assegnati ad essere detenuti furono quindi arrestati nelle loro case dalla polizia di Palo Alto. Furono portati in una cella reale, quindi bendati e portati nel sotterraneo del Jordan Hall, che era stato ristrutturato in modo da sembrare una vera prigione. Ciascun prigioniero fu perquisito, denudato e spidocchiato. Furono quindi obbligati a indossare tute con il numero di identificazione sulla parte posteriore e anteriore della maglia.

A Quelli cui era toccato in sorte la parte delle guardie penitenziarie furono date le uniformi e istruiti su come mantenere il controllo della prigione ma senza usare la violenza.

  Quello che successe dopo fu così scioccante che gli esperimentatori ( i.e. gli psicologi) dovettero annullare l’esperimento che doveva durare due settimane dopo appena 6 giorni.

  Due giorni dopo l’inizio dell’esperimento i detenuti cominciarono a manifestare comportamenti ribelli. Cominciarono a schernire e maledire le guardie a addirittura a intentare una rivolta. Le guardie si arrabbiarono e si vendicarono, inizialmente usando un estintore. Irruppero in ciascuna cella, spogliarono i detenuti, misero i letti sottosopra, portarono i leader della rivolta in isolamento. In seguito cominciarono a tormentare e intimidire i prigionieri. Usarono inoltre tattiche psicologiche come per esempio creando una cella privilegiata per prigionieri modello per distruggere la solidarietà tra i prigionieri. In alternativa crearono anche una cella per i cattivi prigionieri con l’intento di creare confusione, sospetto  aggressività tra i prigionieri. A quel punto i partecipanti a questo esperimento erano realmente entrati nei ruoli che erano stati loro assegnati. Le guardie presero il completo controllo sulle vite dei prigionieri addirittura anche sugli aspetti di igiene personale come andare al bagno. Spesso si obbligavano i prigionieri a non usare i bagni ma a urinare e defecare in un cesto nella loro cella, ma non gli si permetteva di svuotare il cesto. Ripetutamente le guardie punivano i prigionieri forzandoli a attività ginniche, a saltare a pulire i bagni con le loro nude mani e pianificando altri scenari ancora più degradanti. Spesso le guardie costringevano alcuni prigionieri a rubare con la promessa di ridurre gli abusi. Specialmente quando erano convinti di non essere sorvegliati le guardie tormentavano ancora di più i prigionieri. L’umiliazione e disumanizzazione diventò tale che gli sperimentatori dovettero frequentemente ricordare alle guardie di interrompere queste pratiche.

  I Prigionieri, d’altro canto, cominciarono a sperimentare acuti disturbi emozionali e rabbia. Cominciarono a manifestare disorganizzazione nel pensiero, crisi incontrollabili di pianto, chiusure in se stessi e comportamenti patologici. Come risultato gli sperimentatori dovettero rilasciare 5 prigionieri prima del tempo stabilito.

Altre persone coinvolte nell’esperimento furono completamente afferrate dalla situazione.

Gli sperimentatori dimenticarono che loro erano lì per osservare e raccogliere dati, invece cominciarono ad assumere il ruolo di personale della prigione e di supervisori. Un prete che visitò la prigione cominciò a contattare i parenti dei prigionieri per convincere a incaricare i loro avvocati di ottenere il rilascio su cauzione. I Parenti, che avevano visitato la prigione, sembravano aver dimenticato che i loro figli avevano il diritto di ritirarsi dall’esperimento. Essi cominciarono davvero a contattare gli avvocati. E un avvocato veramente venne…

Il “sistema” prigione era diventato così potente che aveva preso una sua propria vita e aveva cambiato la vita di ognuno. Finalmente  una psicologa esterna all’esperimento, che aveva visitato la prigione il quinto giorno, rimase così stupefatta e disgustata da quello che veniva fatto ai ragazzi che convinse il Primario dei ricercatori Dottor Zimbado, ( si da il caso che fosse il suo fidanzato) a interrompere l’esperimento.

Nei due decenni successivi all’esperimento le discussioni, le critiche allo stesso si moltiplicarono.

Noi società tuttavia sembra che non abbiamo capito tutta la lezione pervenutaci dell’esperimento di prigione di Stanford. Gli psicologi di Stanford avevano come obiettivo primario dell’esperimento focalizzare il potere dei ruoli, delle regole, dei simboli, dell’identità dei gruppi e situazioni che convalidano comportamenti che generalmente  ripugnerebbero all’individuo normale.

Il risultato dell’esperimento fu che “tante volte il male è prodotto da persone comuni che si trovano a vivere in circostanze inusuali per le quali si trovano impreparate e non riescono a gestirle in modo normale. Di fatto l’atmosfera che si crea in prigione è alla radice di molti comportamenti ingiusti” (Zimbado, 1999)

(http://psychology.about.com/science/psichology/library/weekly/aa060100a.htm)

 

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