Le pene...devono tendere alla
rieducazione del Condannato
Come
Cappellano del Carcere di Poggioreale, svolgendo in modo particolare la mia
missione sacerdotale portando avanti la catechesi nei padiglioni di Alta
Sicurezza (= A.S.) del Genova e del Livorno, sento echeggiare nel mio spirito
quelle parole pronunciate da Gesù nella Sinagoga di Nazareth: “Sono venuto a
proclamare ai prigionieri la liberazione” (Lc 4,16 ss). Una
Liberazione innanzi tutto interiore, Una liberazione prodotta dalla conoscenza
della Verità. (Gv. 8,31-32.) E sono convinto che se Il Guardia
Sigilli L’On. Castelli, attraverso il Dipartimento di Amministrazione
Penitenziaria (D.A.P.), si sforzerà di mantenere la Promessa fatta
qualche anno fa durante la sua visita all’Istituto: “L’Inferno di
Poggioreale finirà” con iniziative concrete che permettano di rendere
visibile il dettato costituzionale: “Le pene devono tendere alla
rieducazione del condannato”, la speranza che la liberazione portata
da Gesù possa raggiungere tutti, anche quelli ristretti nell’A.S., sarà
davvero più reale. In quanto la Parola di Dio, come il seme della Parabola,
attecchisce e porta più frutto quando il terreno è “trattato”. L’area
trattamentale nel Carcere è molto importante anche da un punto di vista
religioso, perché “prepara” il terreno per la “Parola”.
Carcere di Poggioreale, Padiglione Genova: Alta Sicurezza
Sono
nella stanza del Padiglione Genova dove di solito facciamo la catechesi con un
gruppo di cittadini detenuti. Appena arrivati mi dicono contenti:
-
Sa Padre, P.C. è uscito “assolto con formula piena” e ci ha lasciato
i saluti per lei. La ringrazia per l’impegno profuso nel testimoniare la
presenza di Dio e aiutare tutti nel cammino verso Dio.
-
Assolto con formula piena? Esclamo sorpreso
-
Sì Padre, con formula piena, mi rispondono, perché i fatti di cui era
accusato semplicemente non sussistono.
-
Quanti anni è stato qui al Padiglione Genova col regime del 416 bis?
Riprendo a domandare
-
Quattro anni, mi rispondono
-
Mio Dio! Quattro anni in carcere in regime di 416 bis, in una condizione,
così come è vissuta nel Carcere di Poggioreale, che non sarebbe giusto fosse
destinata neanche a chi è stato ritenuto colpevole.
22 ore su 24 chiusi in una cella nel regime del 416 bis
L’avvocato
penalista Vittorio Trupiano è stato “ospite” nel padiglione Genova per 14
giorni. Concorso esterno in associazione camorristica dicono i magistrati
dell’Antimafia, una costruzione giurisprudenziale, replica lui. Il tribunale
del riesame cancellò l’ordinanza di custodia cautelare: indagato sì, ma a
piede libero. Ecco come L’avvocato parla della sua permanenza nel carcere: “Otto
ore. Tanto dura l’attesa di un arrestato nell’ufficio accettazione prima di
essere destinato al padiglione….
Le
celle sono mediamente occupate da tre letti a castello. La distanza della terza
branda dal soffitto è di circa 70 centimetri: ciò significa che chi è
costretto a dormire sull’ultimo livello deve stare attento ai movimenti per
cercare di evitare di centrare il soffitto.
Il
bagno della cella è piccolo, fornito di lavandino che all’occasione si
“trasforma” (grazie alle acrobazie del detenuto) in lavastoviglie, lavatrice
e secchio per sciacquare lo straccio con cui si pulisce la cella. Le finestre
sono corredate da sbarre di ferro, e fin qui ci può stare. Ma non si capisce il
perché di quella rete metallica con fori da un centimetro. Anche l’aria ha
difficoltà ad entrare. Le tracce di infiltrazioni di acqua sono evidenti sui
muri. L’immondizia viene ritirata alle 6.30,
alle 8.30 si fa la conta…l’ora d’aria è dalle 9 alle 10, e dalle 13 alle
14… A differenza dei detenuti degli altri padiglioni, gli ospiti del Genova e
del Pad. Livorno non partecipano alla “socialità” e non vanno in Chiesa. La
Messa si celebra sul pianerottolo, tanto Dio è ovunque…” (Cronache
di Napoli, Domenica 9 Novembre 2003)
Il Carcere dimenticato
Gli
avvocati penalisti di Napoli nel Libro “Il Carcere dimenticato” edito dalla
Camera penale di Napoli così affermano: “Abbrutimento del corpo e
della mente. Nelle condizioni in cui “sopravvive” Poggioreale la TV color,
che è posta in ogni stanza , rappresenta l’unico reale mezzo che possa
giungere davvero ad ogni recluso. Il detenuto non vuole, e non può sottrarsi
all’ordinaria programmazione che contribuisce, soprattutto perché mancano
indicazioni al riguardo, a reprimere qualsiasi pur larvata possibilità di un
minimo recupero.
Perché allora non provvedere delle attività culturali a circuito chiuso che possano coinvolgere l’intera popolazione del carcere? La televisione come strumento di diffusione di qualcosa di diverso dalla programmazione ordinaria che, al contrario, contribuisce ad alimentare sotto-cultura.”
L'esperimento di Palo Alto (Stanford Prison Experiment)
Alla
gente comune è difficile capire cosa può succedere a una persona che venga a
trovarsi in una situazione come quella che si vive in Carcere.
Negli anni 70’ in America fu fatto un esperimento che dimostra ancora
adesso, a distanza di 30 anni, tutta la sua validità. Gli stessi sperimentatori
però si rammaricano perché la Società civile non ha ancora capito la
“lezione” che viene da quest’esperimento.
Nell’Agosto
del 1971, apparve un annuncio sul giornale “Palo Alto Times” “Occorrono
studenti universitari maschi per un esperimento psicologico sulla vita
carceraria. La paga sarà di 15 dollari a giorno per un totale di una o due
settimane…” . Furono scelti 24 giovani. A sorte fu deciso chi dovesse fare
la parte del detenuto e chi della guardia: 12 detenuti e 12 guardie.
Quello
che successe dopo fu così scioccante : I partecipanti, ma anche gli stessi
sperimentatori, il prete, i parenti, gli avvocati, entrarono a tal punto nel
“ruolo” che gli Sperimentatori (i.e. gli psicologi) dovettero annullare
l’esperimento che doveva durare due settimane dopo appena 6 giorni.
Le
guardie, pur essendo state avvertite di non usare metodi coercitivi, arrivarono
a esercitare una violenza incredibile per cercare di “controllare” i
prigionieri i quali dal canto loro
cominciarono a sperimentare acuti disturbi emozionali e rabbia. Cominciarono a
manifestare disorganizzazione nel pensiero, crisi incontrollabili di pianto,
chiusura in se stessi e comportamenti patologici.
Il
risultato dell’esperimento fu che “tante volte il male è prodotto da
persone comuni che si trovano a vivere in circostanze inusuali per le quali si
trovano impreparate e non riescono a gestirle in modo normale. Di fatto
l’atmosfera che si crea in prigione è alla radice di molti comportamenti
ingiusti” (Zimbado,
1999). (http://psychology.about.com/library/weekly/aa060100a.htm)
La
Caritas Italiana, nel bellissimo e recente documento: “Liberare
la pena” edito dalla Casa Editrice “EDB” così afferma alle pagg.
28-29 : “…Il nostro sistema penale appare, agli
occhi di chi ne studi le leggi, tutto teso a favorire questa rieducazione che
poi, nel tempo, chi fa e chi interpreta le leggi ha riletto come
risocializzazione e nuova offerta di opportunità d i cittadinanza. Una
risocializzazione che, stando sempre alla teoria scritta, passa attraverso la
cura della persona nei suoi diritti, nei suoi doveri e nelle sue opportunità.
Eppure il tutto appare come lettera morta… Come possiamo superare lo stallo,
la distanza tra teoria e pratica?”
Ricordo
l’intervento del Dottor Di Somma, Vice Direttore del DAP, alla Giornata di
studio sul tema “Persone dentro e Volontari Fuori” tenutosi al
Carcere Due Palazzi di Padova il 26 Ottobre del “2001”:
“Dopo
aver lasciato il Carcere di Poggioreale, dove ero stato vice Direttore, ero
scettico sulla possibilità reale di recupero dei detenuti. L’esperienza del
Carcere di Rebibbia a Roma, mi ha però definitivamente convinto che, dove il
trattamento è attuato secondo le leggi che già ci sono, i risultati sono
incredibili…”
Se è vero, come afferma il Dott. Di Somma, “che dove il trattamento è attuato secondo le leggi che già ci sono, i risultati sono incredibili” perché non deve essere data questa possibilità anche ai detenuti del Carcere di Poggioreale? Può mai avvenire una riabilitazione tenendo le persone chiuse dentro 22 ore su 24? Il Signore illumini i cuori di tutti, specialmente di coloro che potrebbero e dovrebbero intervenire.
Don Bruno Oliviero